Inizialmente i rapporti tra il Grande Oriente d'Italia di Torrigiani e il regime fascista furono tutt'altro che conflittuali,[1] tuttavia col passare degli anni il regime mutò atteggiamento. Nel 1923 fu stabilita l'incompatibilità dell'appartenenza contemporanea al Partito Nazionale Fascista e alla Massoneria. Nel '25 il regime attuò con maggiore decisione il proprio attacco contro la massoneria italiana: furono più volte distrutte varie sedi del Grande Oriente d'Italia, venne occupato palazzo Giustiniani e a novembre entrò in vigore la legge che sanzionava col licenziamento tutti gli impiegati pubblici che risultavano affiliati a «società segrete».[2] Torrigiani fu perciò obbligato, dal decreto del 22 novembre 1925, a sciogliere tutte le logge massoniche.[3]
Contrapposizione al fascismo
Già nel 1924 Torrigiani aveva svolto un ruolo nella divulgazione dei memoriali di Filippelli,[4] e di Cesarino Rossi[5] vanificando più volte i tentativi di occultare le responsabilità del regime fascista nel delitto Matteotti.
Quando in quel periodo la Massoneria italiana fu accusata di anteporre gli interessi stranieri a quelli italiani,[6] Torrigiani rispose inviando direttamente a Benito Mussolini una protesta formale in rappresentanza del Grande Oriente d'Italia, nella quale lamentava le devastazioni fasciste ai danni delle logge massoniche,[6] rivendicando al proprio ordine il merito di propugnare idee di libertà, giustizia e indipendenza.[7]
L'arresto, il confino e la morte
Nell'aprile 1927, di ritorno dalla Francia, Torrigiani fu arrestato per ragioni politiche.[8] Dopo esser stato tradotto presso il carcere di Regina Coeli, fu inviato al confino, dapprima a Lipari e poi a Ponza. Le misure di sicurezza adottate nei suoi confronti erano particolarmente dure e intense; prevedevano infatti vigilanza diurna e notturna con la scorta raddoppiata, pattuglie militari a vigilanza della sua abitazione e un servizio di pattugliamento marino al fine di evitare qualsiasi tipo di fuga.[9]
A Ponza nel 1931, Torrigiani, insieme ad altri massoni lì confinati, fra cui Bruno Misefari,[10] costituì una nuova loggia aderente al Grande Oriente d'Italia, denominata "Carlo Pisacane", per celebrare proprio il patriota che attraccò sull'isola per la cosiddetta spedizione di Sapri.[11] La "Pisacane" assunse il ruolo di Loggia Madre del GOI, considerato che dal 1925 la massoneria in Italia era stata soppressa.[10]
Liberato solamente nell'aprile del 1932, si ritrovò quasi cieco a causa delle sofferenze patite al confino.[12] Trasferitosi nella sua casa toscana di Lamporecchio, morì il 30 agosto 1932.
"Secondo una ricostruzione del dopoguerra, il feretro poté essere scortato solo da fascisti, essendo proibito a chiunque, pure alla famiglia, di seguirlo. La salma fu cremata all’imbrunire e le ceneri deposte nella cappella di famiglia a Lamporecchio".[13]
Santi Fedele, La Massoneria nell'esilio e nella clandestinità. 1927-1939, Franco Angeli, 2005, ISBN88-464-6526-1.
Marco Francini, Gian Paolo Balli, Il Gran Maestro Domizio Torrigiani (1876-1932), Pistoia, C.R.T. Il Tempio, 2004, ISBN88-88172-26-2.
Fabio Venzi, Massoneria e fascismo: dall'intesa cordiale alla distruzione delle logge : come nasce una "guerra di religione," 1921-1925, Castelvecchi, 2008, ISBN978-88-7615-229-0.