La chiesa di Santa Maria del Soccorso è una chiesa ubicata a Capri.
Storia
La chiesa esisteva probabilmente già nel 1570, in quanto in una mappa redetta da Fabio Giordano veniva descritto un colle dedicato a san Leonardo alla beata Vergine Maria[1]. La struttura è sicuramente documentata in una mappa del 1632, disegnata da Jacques Boucher de Crèvecœur de Perthes, e citata in un libro di Nicolò Squillante, scritto poco dopo, nel quale è descritto come madre Serafina di Dio si recasse nella chiesa a pregare insieme alla madre; diventò quindi luogo di eremetiggio[1].
Nel periodo dell'occupazione inglese, tra il 1806 e i 1808, e nel successivo periodo francese, nel piazzale antistante, vennero posizionati armi di artiglieria[1]. Nel 1888, colpito da un fulmine, venne danneggiato l'altare maggiore, donato pochi anni prima da alcuni capresi emigrati in Argentina, mentre un altro fulmine colpì la cupola nel 1938[1].
Descrizione
La chiesa è posta sulla sommità del monte Tiberio, ad un'altezza di 354 metri[2], nei pressi di villa Jovis[3]; è preceduta da un vestibolo con soffitto a volta[4], costruito per evitare le infiltrazioni d'acqua e offrire un luogo come confessionale[1]. Internamente si presenta a navata unica con volta a botte, mentre sul fondo è il presbiterio, di forma rettangolare, sormontato da una cupola[4]. Lungo la navata si apre un altare su ogni lato: in quello di sinistra è il quadro Madonna del Soccorso, in quello di destra è Sant'Antonio; sull'altare maggiore è la tela raffigurante Vergine con Bambino e san Giovannino, risalente alla fine del XVIII o all'inizio del XIX secolo[1]. Adiacente è la sagrestia[5].
Nel piazzale antistante la chiesa, che funge anche da belvedere con vista sul golfo di Napoli, è posta una statua della Madonna, donata dal pittore Guido Odierna[1], alta quasi cinque metri e pesante circa undici quintali[6]: realizzata da Alfiero Nena[5], venne trasportata sul posto nel 1979[2] tramite un elicottero della United States Navy[6], dopo essere stata benedetta da papa Giovanni Paolo II a Roma e andò a sostituire quella precedente, risalente al 1901[5], danneggiata da un fulmine nel 1977[6].
Note
Bibliografia
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