L'ex chiesa di Sant'Ignazio di Loyola e l'annesso collegio dei Padri Gesuiti costituiscono un ex complesso monumentale monastico ubicato nel centro storico della città di Mazzarino, oggi restaurato e adibito a centro culturale e museale.
Furono fondati dal principe di Butera e conte di Mazzarino, don Carlo Maria Carafa Branciforte nel 1694, al fine di poter accogliere a Mazzarino la Compagnia di Gesù.
Sia la chiesa che il convento, secondo le fonti pervenute, furono progettati dall'architetto gesuita Angelo Italia, già presente, a più riprese, a Mazzarino per dirigere i lavori di edificazione del Duomo di Santa Maria della Neve; alla stesura del progetto vi collaborò lo stesso Carafa.
Angelo Italia fu a Mazzarino certamente nel 1685 (dal 28 settembre al 19 dicembre); ancora nel 1686 (dall'11 marzo al 20 aprile) e nell'autunno successivo, oltre che nel 1691 (forse a marzo). E presumibile che sia venuto anche altre volte. I motivi di tali visite sono da vedere nei lavori per Santa Maria della Neve, per modifiche nel Palazzo Branciforti e per il Collegio.
Alla fine del 1685, risulta che furono ordinati e trasportati via mare dapprima a Palermo e da lì a Mazzarino 4.000 mattoni di Valenza[1].
A seguito della morte prematura del principe e a seguire dello stesso architetto Italia, i lavori di costruzione furono portati a termine sotto la supervisione dell'allievo fra Michele da Ferla[2].
Dai documenti della compagnia di Gesù risulta che l'architetto Angelo Italia fosse già "infirmus" nel 1696 e che morì a Palermo nel 1700. Pertanto, nonostante sia indiscussa la paternità del progetto, è certo che la costruzione del complesso sia stata diretta e supervisionata da altri.
Infatti, come emerge dagli atti, l'architetto fra’ Michele da Ferla, allievo e collaboratore dell'Italia, ebbe un breve soggiorno a Mazzarino nel 1703, finalizzato proprio a una consulenza per la corretta esecuzione di un progetto[1].
La struttura è un tipico esempio di architettura tardo - barocca del Val di Noto affermatasi dopo il terremoto del 1693.[3]
L'edificazione della struttura, voluta dal principe Carafa, ebbe inizio nell'agosto del 1694.
Per la costruzione dell'intero complesso monumentale, affinché fosse degno di accogliere i Padri della compagnia di Gesù, il principe lasciò per testamento 1500 scudi annui, sia per l'ultimazione dei lavori, sia come rendita per il sostentamento e il mantenimento dei chierici[2].
Infatti, nel suo testamento, ricevuto dal Notaro D. Vincenzo Triolo, sotto il dì primo Giugno, terza Indiz. 1695, così egli dettava:
(Principe di Butera Carlo Maria Carafa - Branciforte)
Una lapide posta sopra il portone d'ingresso della chiesa, in ricordo del fondatore, riporta la seguente epigrafe:
HANC CAROLUS M. CARAFFA MUNIFICENTISSIMUS BUTERAE PRINCEPS, SOCIETATIS NOSTRAE EIUSQUE SANCTO FUNDATORI ADDICTISSIMUS EREXIT ANNO A REPARATA SALUTE M.DCC.XVIII»
Questa fondazione è ricordata nella seguente inscrizione,su tela dipinta nella detta chiesa del Collegio:
POPULI SUI PIETATI AC BONIS ARTIS CONSTITUTA ANNUOQUE DITATA REDDITU OMNIUM ORDINUM TRIUNPHO QUEM STA PRAESENTIA NOBILITAVIT ACTO IN QUO SANCTUS PARENS IGNATIUS CURRU MAGNIFICO CIRCUMVEHERETUR FILIUS EJUS ADDIXIT ALIUS AMORE PARENS EXCELL.US D. CAROLUS M. CARAFFA LOCI DOMINUS M.DC.XCIV. MENSE AUGUSTO AUCTA ETIAM COENAM AC STIRPE TRIBUTA IMMENSO PAUPERUM GREGI NEQUID AUT PIETATI DEESSET AUT RELIGIONI IN GRATI ANIMI SIGNUM COLLEGIUM MAZARINENSE AUCTORI SUO»
I Padri gesuiti si stabilirono in detta struttura già nel 1699, a lavori non ancora ultimati, e il primo ad insediarsi nel convento fu il mazzarinese Padre Antonino Strazzeri[2] .
I Gesuiti, salvo brevi interruzioni, prestarono presso il collegio di Mazzarino la loro attività educativa e didattica dal 1699 al 1767, impartendo lezioni di teologia morale, filosofia e lettere.[1]
Il 17 gennaio del 1734, il vescovo di Girgenti Lorenzo Gioeni inaugurò la struttura, come ricorda una lapide posta all'ingresso della chiesa intitolata al fondatore della compagnia di Gesù, Sant'Ignazio di Loyola[2]
REGNANTE CLEMENTE XII P. M. CAROLO VI ROM. IMP. III SIC. REGE ILL ET REV: D. NUS D. LAURENTIUS JOJENIUS E DUCIBUS ANDEGAVENSIBUS EPISCOPUS AGRIGENTINUS, CUI DEMANDATA EST FACULTAS AB ILL: ET REV: D.NO D. MATTEO TRIGONA SYRACUSARUM EPISCOPO. SS. D. N. PRAEL. DOMESTICO, PONTIFIC. SOLIO ASSISTENTE HIC ADSTANTE, IN HONOREM OMNIPOTENTIS DEI ET S. P. N. IGNATII, HOC TEMPLUM INAUGURAVIT AN. SALUTIS M. DCG. XXXIV. XVII. JAN: FESTO SS. NOMINIS JESU»
Illustri gesuiti che prestarono la loro opera nel collegio di Mazzarino, come riportato dallo storico Ingala, furono: Antonio di Blandi, Baldassarre di Stefano, Bartolomeo La Mantia, Saverio Sortino, Michelangelo Lentini, Luigi Bartoli, e Cristoforo Bivona[2].
Intorno al 1750 dimorò in suddetto collegio il celebre missionario Gesuita chiaramontano P. Antonino Finocchio come ricorda una inscrizione in un ritratto in sacrestia:
PROFESSUS, OMNI VIRTUTUM GENERE PREDITUS, INNOCENTIAM CUM SUI MACERATIONE SOCIAVIT, FERVENS APOSTOLUS, PREDICATIONE, MIRACULIS ET VATICINIIS SICILIAE URBES ILLUSTAVIT COLLEGIUM HOC EXEMPLO AUXIT. CLARAMONTE VITA CESSIT. CADAVER INTER PRODIGIA ET POPULORUM PLAUSUS ELATUM, PROPE ARAM B. M. VIRGINIS DE GULFI, CUJUS CULTUM AMPLIAVIT ET COLLOQUIA SAEPISSIMAE AUXIT SICUT PREDIXERAT TUMULATUM. OBIIT ANNO M.DCC.XLV»
Abolita la compagnia di Gesù con bolla di papa Clemente XIV, i Gesuiti ospitati in questo collegio si trasferirono in Palermo, per cui le rendite, i suppellettili e gli arredi sacri di pregevole fattura e valore, furono in parte trasferiti presso Casa Professa a Palermo sino alla soppressione definitiva del 1767[2].
Una parte degli arredi, tuttavia, vennero conservati presso il monastero di Sant'Anna, e tutt'oggi esposti nel museo civico; si tratta di due paliotti di altare ricamati in rilievo con seta, oro e corallo, carte gloria con cornici in argento, e parametri per messa cantata.[2]
Tra il 1848 e il 1867, per concessione dei Padri Gesuiti, la struttura divenne sede del municipio e successivamente incorporata al demanio.
Nel 1890, l'edificio, ormai inutilizzato, venne adibito ad orfanotrofio[2].
Nel XX secolo l'intero complesso monumentale, con l'annessa chiesa, è divenuto di proprietà comunale ed è stato sottoposto ad accurati restauri e, una volta restituito allo stato originario è stato adibito a centro culturale e museale[1].
La chiesa intitolata a Sant'Ignazio di Loyola presenta una facciata rivestita in mattoni laterizi a faccia vista (c.d. a cortina) alternata da paraste, cornicioni, fregi,e volute in pietra arenaria locale.
I tre portali di ingresso, corrispondenti alla tre navate, sono sormontati da timpani spezzati e stemmi della compagnia di Gesù, e della famiglia Carafa intagliati in pietra locale.[2]
L'edificio presenta una planimetria a croce latina con prospetto rivolto a sud.
La chiesa nella parte orientale e settentrionale confina con il convento gesuitico.
L'aula liturgica è suddivisa in tre navate, in corrispondenza delle tre porte d'ingresso, suddivise da otto pilastri a sezione quadrata, che sorreggono le arcate, a tutto sesto, quattro per lato. L'edificio è illuminato da sedici finestre collocate sopra il cornicione di finimento.
La volta a botte è decorata con stucchi e alternanze cromatiche blu.
I lavori in stucco in rilievo e a bassorilievo delle volte e delle cappelle sono in stile barocco, con colonne tortili, paraste, capitelli corinzi, putti che sorreggono stemmi gentilizi e scudi, in modo da esaltare la magnificenza delle famiglie devote.
In particolare, come riporta lo storico Ingala, molti oggetti e paramenti sacri furono donati dal barone Giovanni Tommaso Strazzeri[2].
L'edificio, inoltre, dall'inaugurazione fino al 1820 funse anche da chiesa madre della città di Mazzarino.
L'altare maggiore è in marmo, al disopra di esso, incastonata in una cornice di marmo nero era esposta una tela della Madonna del lume, della bottega di Pietro Novelli.[3]
Nella cantoria posta nella controfacciata, sopra l'ingresso principale è collocato un organo privo di canne, in legno intarsiato, fatto realizzare dal sac. Antonino Zanchì[2].
Oggi alcune delle predette tele si trovano esposte presso il museo civico, nell'attiguo collegio; la chiesa, invece, dopo i lavori di restauro è stata adibita ad auditorium[3].
All'annesso collegio si accede per il tramite di un grande portone con arco in bugnato a tutto sesto e affiancato ai lati da due colonne scanalate in pietra, al di sopra delle quali si sporge un balconcino con mensole a mascheroni raffiguranti mostri e animali, così come sulle cornici delle finestre che si affacciano all'esterno.
L'edificio si estende per un perimetro di oltre 450 metri e possiede due chiostri, uno dei quali con portici con colonne in pietra, lungo 28 metri e largo 21 metri, l'altro chiostro, nella parte posteriore a nord, ha una superficie identica al primo ma priva di portici, e al centro, interrata vi è una grande cisterna sotterranea[2].
L'ingresso principale di via collegio si apre sull'ampio chiostro delimitato per un lato da un portico con arcate a tutto sesto, che conduce attraverso una scala ai piani superiori, cui un tempo si trovano gli alloggi e le stanze adibite a impartire gli insegnamenti dei padri gesuiti.[3]
Nelle sale del collegio, al secondo piano, è allestito il centro culturale e museale dedicato a Carlo Maria Carafa, con una esposizione di opere d'arte, paramenti e oggetti sacri, provenienti dalle diverse chiese della città, nonché un antiquarium con alcuni reperti archeologici provenienti dagli scavi archeologici di Filosofiana e Monte Bubbonia[1].
Alcune delle opere esposte nel museo civico:
Altri progetti