Il terremoto è stato registrato il 5 febbraio del 62 e l'epicentro è stato localizzato all'interno di una faglia sul lato meridionale del Vesuvio, nei pressi della zona stabiana[2]: è stato ipotizzato che questo terremoto potesse essere collegato alla futura eruzione del Vesuvio del 79, ma tale supposizione non è stata mai confermata. Il terremoto ebbe un'intensità stimata tra il V ed il VI grado della scala Mercalli e si verificò ad una profondità di circa sei o sette km[3]. Dopo la scossa principale ne seguirono altre di assestamento nei giorni successivi[4]. Le città che subirono la maggior parte dei danni furono ovviamente quelle nelle vicinanze dell'epicentro e quindi Pompei, Ercolano e Stabiae, ma altri danni si verificarono anche a Napoli e Nocera. Numerosi furono i crolli, così come testimoniato dagli scavi archeologici, tanto che al momento dell'eruzione del 79, numerosi edifici erano ancora disabitati ed in fase di ristrutturazione oppure presentavano segni di recenti ammodernamenti: addirittura nella casa di Lucio Cecilio Giocondo, sono stati ritrovati dei bassorilievi che riproducono il Foro, Porta Vesuvio e il tempio di Giove, a seguito dei danni subiti dal terremoto[5]. Anche Lucio Anneo Seneca parlò del terremoto del 62 nel sesto libro delle Naturales quaestiones, dedicato proprio agli eventi sismici[1]:
«Ho appreso, ottimo Lucilio, che Pompei, l'affollata città della Campania situata là dove si congiungono da una parte le coste di Sorrento e di Stabia, dall'altra quelle di Ercolano e cingono con un golfo ameno il mare che dal largo lì si ritrae, è crollata in seguito a un terremoto che ha causato danni in tutta la zona circostante… e ha devastato con ingenti rovine la Campania, mai al sicuro da una simile calamità, ma finora incolume, se pure tante volte attraversata da paura[1].»
Dal libro si apprende della morte di un gregge di seicento pecore dovuto agli effetti di gas asfissianti, mentre poco o nulla si conosce su possibili perdite di vite umane[4].
Note
^abcIl terremoto del 62, su news.unina.it. URL consultato il 27 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2013).