La Casa di Lucio Cecilio Giocondo è interamente realizzata in opera a telaio di calcare di Sarno, con l'utilizzo del tufo nelle parti decorative[1]: la grande abilità del proprietario, Lucio Cecilio Giocondo, di saper svolgere il suo lavoro, ossia quello di banchiere, portò ad una grossa quantità di guadagni e ciò si nota nel grande sfarzo della sua casa[4]. L'ingresso si affaccia direttamente su Via del Vesuvio e due grossi pilastri, sui quali al momento dello scavo furono rinvenute diverse iscrizioni elettorali[2]: ai lati dell'entrata si aprono due botteghe. Superato il vestibolo nel quale è conservato un mosaico pavimentale raffigurante un cane, si accede all'atrio, con impluvium centrale contornato da un mosaico a figure geometriche mentre nel resto dell'ambiente la pavimentazione è in cocciopesto con inserti di marmi colorati[2]; nell'angolo nord-ovest si trova un larario decorato in marmo: in particolare la parte superiore della base era caratterizzata da due bassorilievi che rappresentavo i danni provocati dal terremoto del 62[1], ossia il crollo di Porta Vesuvio, andato rubato, e i danneggiamenti al Tempio di Giove[4], conservato al museo archeologico nazionale di Napoli; tali opere furono eseguite molto probabilmente in segno di espiazione verso gli dei irati o, ipotesi meno accreditata, questi bassorilievi furono eseguiti in segno di ringraziamento verso gli dei i quali, provocando il terremoto, avevano permesso l'arricchimento di Cecilio Giocondo, che aveva speculato sulle disgrazie altrui[5]. Intorno all'atrio si aprono diversi cubicoli, in alcuni dei quali si è conservata sia la pavimentazione con disegni a mosaico, sia decorazioni parietali, anche se alcune raffigurazioni sono andate in parte andate perdute come il dipinto di Ulisse e Penelope e una scena teatrale[6].
Sull'atrio si apre il tablino, di notevoli dimensioni, forse utilizzato dal proprietario per esercitare la sua professione[7]: ai lati degli stipiti d'ingresso sono presenti due colonnine sulle quali erano poste due erme, in particolare quella a sinistra sosteneva una testa in bronzo raffigurante o lo zio o il padre
[8] di Cecilio Giocondo[9], dono del liberto Felix, così come attestato dall'iscrizione incisa sul pilastro:
Su quella destra invece era posizionata una testa in oro, andata distrutta durante le esplorazioni[2]. Il tablino conserva intatta la pavimentazione a mosaico con al centro un disegno geometrico, mentre alle pareti sono affreschi in terzo stile[11] che originariamente erano color cinabro, poggiati su un fondo ocra, di cui oggi rimane solo quest'ultimo colore[9]: su ambo i lati i pannelli decorativi sono divisi in tre scomparti, simili a tappeti, ornati con elementi vegetali; la parete di destra presentava al centro di ogni scomparto quadretti raffiguranti un Satiro che abbraccia una Menade, Ifigenia in Tauride e una Menade con Cupido, tutti staccati e conservati al museo archeologico di Napoli[12], mentre sul lato sinistro sono ancora in loco l'affresco di un Satiro con Menade, una raffigurazione incerta, probabilmente rappresentate il ritorno di Ettore cadavere ed ancora un Satiro con Menade[12].
Superato il tablino si accede al peristilio, che ha conservato intatto il colonnato, una fontana con vasca in marmo, diversi graffiti ed un affresco erotico[13] ed uno di grande animale[14]: al centro di questo ambiente è il giardino, mentre intorno si aprono diversi ambienti come il triclinio con resti delle decorazioni parietali: in particolar modo sono visibili dei medaglioni con volti di donna, un grande quadretto, rovinato dal tempo, raffigurante Paride fra tre dee, e Teseo che abbandona Arianna, in questo caso staccato dalla sua collocazione originale[13]; anche questi pannelli presentano una parte centrale in giallo ocra e una zoccolatura in rosso. Altri ambienti conservano scarsi resti degli intonaci e degna di note è l'esedra con nicchia utilizzata come larario ed un tavolo in marmo[14]: nei pressi di questa sala, a causa del crollo durante l'eruzione del piano superiore fu ritrovato, tra il 3 ed il 5 luglio 1875[3], un piccolo forziere contenente centocinquantaquattro tavolette cerate, che riportavano la somma degli affitti riscossi e le quote versate per l'acquisto di proprietà[1]: la datazione di questi documenti va dal 52 al 62, dopodiché si pensa che il banchiere si ritirò a vita privata dedicandosi ad opere religiose[10]. Una scala conduceva ad una cantina sotterranea, nella quale si riconoscono degli affreschi con disegni di elementi naturali[15].