Il territorio di Ischia di Castro è molto vasto (104,95 chilometri quadrati), e si alterna tra praterie, colline, boschi ed alti costoni di tufo; il rilievo più elevato è quello del Monte Bellino, 515 metri di altezza, al confine con la Toscana.
È attraversato da diversi corsi d'acqua, i più importanti dei quali sono il Fiora, che ne attraversa la parte più occidentale del suo territorio, ed il suo affluente principale, il fiume Olpeta. In prossimità del centro abitato, scorre invece il Fosso San Paolo, un torrente che si immette nell'Olpeta, e concorre a formare il sistema fluviale Fiora-Olpeta,[4], mentre nella parte settentrionale del territorio comunale scorre il Fosso di Ripignano.
La parte più antica del centro abitato poggia su un alto sperone di tufo circondato dalle forre scavate da due torrenti. L'accesso è dalla porta del Palazzo Ducale ed il centro storico si sviluppa in discesa sino al belvedere dell'Ortirosa da cui è possibile ammirare il solco scavato dai due torrenti, la loro confluenza ai piedi del paese ed i boschi che circondano tutto l'abitato.
A ridosso del centro storico, muovendo nel senso della salita, è il Borgo, parte del paese che si è sviluppata maggiormente tra il '700 e la fine dell'800. Ancora più a salire vi è la parte più recente e residenziale di Ischia di Castro.
Le origini ischiane risalgono all'età etrusca della quale rimangono alcune testimonianze, ma molto tempo prima l'uomo preistorico visse lungo le rive del Fiora dove sono state trovate asce di silice, punte di frecce e altri oggetti.
Dell'epoca romana rimangono importanti tracce in località La Selvicciola ove nel 1982 è stata rinvenuta una villa rustica romana[5]. Nello stesso sito è venuta alla luce anche una necropoli longobarda - ricca di corredi funerari maschili e femminili, armi, ornamenti personali e oggetti di uso quotidiano - oggi esposti nel Museo civico di Ischia di Castro.
Il popolo longobardo sembra aver fortemente inciso sulla storia del paese, tanto che non solo molte località della campagna ischiana portano ancora oggi i nomi longobardi, ma addirittura lo stesso nome di Ischia sembra derivare dalla lingua di questo popolo nordico (da eisch = "quercia"); e sempre ai longobardi sembra doversi ricondurre l'origine del "Palio del gallinaccio", festa che ancora oggi si tiene nel mese di agosto, e, più in generale, il folklore e persino il dialetto ischiano[6].
Successivamente Ischia compare tra i paesi del Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Il castello di Ischia nella seconda metà del XII secolo apparteneva al conte Ranieri di Bartolomeo, che nel 1168 sottopose tutte le sue proprietà alla protezione di Orvieto. Prima della fine del secolo queste terre passarono ai conti Ildebrandini e alla fine del XIII secolo il castello pervenne ai Farnese.
Durante il Medioevo il borgo si estese a ridosso dell'antico Palazzo ducale (Rocca) dove i Farnese edificarono il loro palazzo su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane. La Rocca, in origine dotata di tre torri, fossato e ponte levatoio, proteggeva il paese dall'unico lato scoperto, essendo gli altri tre lati protetti naturalmente dalle alte pareti di tufo; il progetto del Sangallo, solo in parte realizzato, ne prevedeva la trasformazione da struttura volta alla sola difesa in edificio più simile ad un palazzo nobiliare.
Il dominio dei Farnese non fu sempre tranquillo: nel Luglio del 1395 gli ischiani, stanchi delle angherie e dei soprusi subiti soprattutto dalle loro donne, si ribellarono ai loro Signori assaltando la rocca e uccidendo tre dei sette figli di Ranuccio da Farnese, mentre un altro figlio, Bartolomeo, e suo nipote Ranuccio (che sarà poi detto "il Vecchio" e diverrà il nonno di Papa Paolo III), furono imprigionati. Ischia fu allora rapidamente messa sotto assedio dagli altri figli di Ranuccio che si trovavano a Montalto (Pietro, Nicolò e Pier Bertoldo) con l'appoggio dei Signori della Cervara accorsi in loro aiuto, e infine, dopo la fuga dei ribelli, i prigionieri vennero liberati. Secondo un'altra ricostruzione, i due superstiti si salvarono perché, durante l'assalto, riuscirono a fuggire nella vicina Valentano. Comunque sia, l'evento contrassegnò nel tempo il popolo ischiano come fiero, poco propenso a chinare la testa e meritevole di rispetto.
Durante il periodo del Ducato di Castro Ischia era divenuta popolatissima; secondo la relazione di Benedetto Zucchi inviata ai Farnese nel 1630, ad Ischia — in quel ristretto spazio che oggi corrisponde al centro storico — vi erano ben "250 fuochi", "1.300 anime", 150 soldati e "200 cavalleggieri con casacche turchine", "insomma è assai popolata, e stanno ristretti non poco per essere piantata in un tufo"[7].
I Farnese, in contrasto con la Chiesa, tennero Castro fino al 1649, quando Innocenzo X ordinò la sua distruzione.
Durante il Risorgimento, Ischia fece comunque la sua pur piccola parte. Alla fine del Settembre1867 una banda di garibaldini ischiani assalì in paese la Caserma dei Gendarmi Pontifici, trovandola però vuota e priva di armi, e si fece consegnare dall'esattore la cassa esattoriale e una rubbia di grano per finanziare le spese insurrezionali. Contestualmente fu costituito il nuovo Municipio. In risposta, il successivo 4 ottobre dal presidio della vicina Valentano furono inviati gli Zuavi Pontifici i quali, però, giunti a ridosso del paese, trovarono i garibaldini ischiani trincerati e protetti da barricate; agli ischiani si aggiunsero anche alcuni volontari dalla vicina Farnese e dalla Toscana. Nello scontro che ne seguì i garibaldini subirono 21 perdite tra morti e feriti (nessun morto tra gli ischiani), ma gli Zuavi furono costretti a ritirarsi e il paese poté considerarsi preso dagli insorti[8].
Il suo territorio, unitamente a quelli dei comuni vicini, rientrò nel raggio di azione del brigante Domenico Tiburzi fino a quando questi non fu ucciso dai carabinieri nel 1896 a Capalbio[10].
Per molti secoli da abitanti e visitatori che si recavano in Ischia, fu attribuito l'appellativo di Città di Maremma, come Annibali riporta in alcuni dei suoi volumi.
Simboli
Lo stemma è stato riconosciuto con d.P.C.m. del 12 ottobre 1953.[11]
«D'azzurro, ai tre gigli d'oro.»
Il gonfalone, concesso con D.P.R. del 5 giugno 1954, è un drappo di azzurro.[12]
Chiesa parrocchiale di San Rocco, edificio in stile romanico con affreschi del XIV-XVI secolo.
Chiesetta della Madonna della Neve (o chiesa della Madonella), edificata agli inizi del XVII secolo
Chiesetta della Madonna delle Rose
Chiesetta della Trinità, costituita da un unico ambiente con copertura a volta, presenta sopra l'altare una pala settecentesca raffigurante la Madonna del Carmelo e la Trinità con ai lati affrescati due santi fondatori dell'ordine dei Carmelitani.
Eremo di Poggio Conte o della Chiusa dell'Armine o Romitorio di San Colombano[13][14][15][16], dipendente dall'abbazia di San Colombano di Castro (distrutta assieme alla città). Eremo documentato in un atto del giugno del 1027 fra Ugone conte di Castro e figlio di Cadulo e l'abate Giovanni di San Colombano, in esso si cita anche il monastero dedicato a San Colombano di Bobbio, posto vicino al fiume Armino (oggi fiume Fiora), monastero documentato nell'810, in cui si dichiara l'appartenenza della "Cella Sancti Colombani" all'abbazia di San Salvatore all'Amiata; il monastero di San Colombano di Castro in seguito venne elevato ad abbazia[17][18]. Presenta due locali, il primo dei quali ha una cupola sorretta da pilastri ed è ricco di disegni immaginari, floreali e sessuali; questi elementi, uniti al triangolo equilatero disegnato su una colonna nonché all'orientamento est-ovest del locale e alla ricezione della luce soltanto da una monofora posta sull'abside, hanno portato a teorizzare, tra l'altro, la matrice templare del sito. Sono visibili, sotto la cupola, le nicchie che contenevano tredici pale raffiguranti gli apostoli e Gesù frutto di un intervento successivo alla costruzione originale; trafugate tutte nel 1964, sei di esse sono state recuperate e ora custodite nel Museo civico archeologico di Ischia di Castro[19]. L'eremo sorge in una sorta di anfiteatro naturale particolarmente suggestivo anche per la presenza di un'alta cascatella, e, grazie alla sua notevole acustica, ben si presta all'esecuzione delle manifestazioni musicali che l'Amministrazione comunale ormai abitualmente vi organizza in estate.
Eremo di Ripatonna Cicognina o della Chiusa del Vescovo, composto da 3 piani ricavati sul fronte roccioso a strapiombo sul fiume Olpeta (affluente del fiume Fiora) presenta una planimetria complessa tra ballatoi, stanze ricavate nella roccia, cisterne e cavità diffuse. All'interno è riconoscibile la chiesa con abside e presbiterio, decorata da affreschi di scuola senese del XV secolo[20]. L'eremo venne dettagliatamente descritto da Beneddetto Zucchi nella relazione sullo stato del Ducato di Castro inviata ai Farnese nel 1630: "…vi è un romitorio chiamato Ripatogno Cicognina, piantato alla sponda di detto fiume Olpita di sopra e piantato sul tufo di detta ripa e lontano da Castro poco più di un miglio, luogo di bellissima vista, con comodità di fontana e di terreno da farvi orto a proposito per tale effetto, con dentro la Chiesa consacrata…[21].
Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e il Convento delle Adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento, uno degli attuali undici monasteri italiani del relativo Ordine di clausura, è il luogo in cui la monaca Maria Maddalena dell'Incarnazione, al secolo Caterina Sordini, nel febbraio del 1789 avrebbe avuto la visione di Gesù che le chiedeva di istituire l'opera delle Adoratrici dell'eucaristia[22], compito che portò a termine fondando nel 1807 l'Ordine delle Adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento. In questo convento sarebbe accaduto, nel giorno del Corpus Domini del 1802, il "miracolo della moltiplicazione del pane"[23].
Grotta di Settecannelle sulla sponda del fosso della Paternale, un affluente del Fiora, in cui sono stati rinvenuti frammenti della media età del bronzo e del Bronzo antico, dell'Eneolitico, del Neolitico e Paleolitico superiore e fauna e materiali che risalgono fino circa a 17.000 anni fa.
Necropoli di Crostoletto di Lamone, della fine dell'età del Bronzo, con tombe a tumulo e rito misto (deposizione e incenerazione), e resti di frequentazione sin dall'età del Rame (muri a secco perimetrali).
La Selvicciola località non lontana da Vulci, in cui sono stati rinvenuti una vasta necropoli neolitica riferibile alla Cultura di Rinaldone, una grande villa romana di epoca repubblicana, una necropoli longobarda - con corredi funerari maschili e femminili, armi, ornamenti personali e oggetti di uso quotidiano - e i resti di una chiesa di quel periodo.
Necropoli etrusca di Castro scoperta ai piedi del monte su cui sorgeva la città medievale, vi spiccano la tomba monumentale a semidado del VI secolo a.C. e, soprattutto, la famosa "Tomba della Biga di Castro", nella quale nel 1967 fu rinvenuta - preceduta dagli scheletri di due cavalli di cui uno con ancora il morso tra i denti - la spettacolare biga etrusca, probabilmente appartenuta ad una giovane principessa morta nel 530-520 a.C., oggi esposta al Museo nazionale etrusco Rocca Albornoz di Viterbo[24].
Nel territorio comunale si trovano le rovine dell'antica città rinascimentale di Castro distrutta nel 1649.
Aree naturali
Nel territorio di Ischia di Castro si trova parte della Selva del Lamone, una delle riserve naturali regionali del Lazio, e la Macchia dei buoi, area di proprietà comunale - in piccola parte ora attrezzata per picnic - che si estende per circa quaranta ettari ed è caratterizzata da bosco con alberi di alto fusto (cerro, quercia roverella, carpino nero, acero minore, leccio ontano nero) mentre il sottobosco è costituito da piante tipiche della Maremma come l'agrifoglio, il sorbo selvatico, il pungitopo, l'asparago selvatico, il corniolo e la fillirea; all'epoca della fioritura non è raro rinvenirvi orchidee spontanee. Nel vastissimo territorio comunale ricadono diverse aree qualificate dalla Regione Lazio come SIC (siti di interesse comunitario) tra cui Crostoletto (presenza di specie vegetali rare o rarissime per il Lazio[25]), Vallerosa (orchidee spontanee[26]), Monti di Castro (presenze significative in tutti i gruppi animali, soprattutto rapaci diurni) e il Sistema Fluviale Fiora-Olpeta (ricca fauna in tutti i gruppi zoologici, in particolare presente l'unica popolazione vitale della Lontra dell'Italia centrale[27]), nonché un'area ZPS - zona di protezione speciale- (Selva del Lamone-Monti di Castro)[28].
Al 31.12.2018 sono residenti 103 cittadini stranieri (di cui 49 dalla Romania, 9 dall'Albania, 4 dall'Ucraina, 4 dalla Repubblica di Macedonia, 5 dal Regno Unito, 1 dalla Bulgaria, 1 dall'Estonia, 1 dai Paesi Bassi, 1 dalla Lettonia, 9 dall'Africa, 13 dall'Asia e 6 dall'America) pari al 4,6% della popolazione complessiva[30].
Il Museo civico archeologico "Pietro e Turiddo Lotti raccoglie tutti i più importanti reperti archeologici, dalla preistoria al Rinascimento, rinvenuti nel territorio comunale; dagli strumenti in selce di epoca paleolitica, alle statue in nenfro del VI secolo a.C. della necropoli di Castro, dall'esemplare di bara etrusca corredata di vasi di impasto e vasi di bucchero, ai reperti di epoca romana e longobarda, dalle sculture e affreschi del XIII secolo, ai capitelli e alle modanature dei palazzi di Castro progettati dal Sangallo, fino alla vetrina delle ceramiche medievali recuperate dai "butti" del Palazzo ducale.
Economia
A Ischia di Castro sono ancora attive le vecchie cave di travertino e di tufo. Tra le attività economiche più tradizionali, diffuse e rinomate vi sono quelle artigianali, come la lavorazione del rame finalizzata a scopi artistici.[32]
Accanto alla pastorizia, molto diffusa la coltivazione dell'olivo; Ischia di Castro è uno degli otto Comuni inseriti nell'itinerario "La strada dell'olio dop di Canino"[33]
Di seguito la tabella storica elaborata dall'Istat a tema Unità locali, intesa come numero di imprese attive, ed addetti, intesi come numero addetti delle unità locali delle imprese attive (valori medi annui).[34]
2015
2014
2013
Numero imprese attive
% Provinciale Imprese attive
% Regionale Imprese attive
Numero addetti
% Provinciale Addetti
% Regionale Addetti
Numero imprese attive
Numero addetti
Numero imprese attive
Numero addetti
Ischia di Castro
112
0,48%
0,02%
206
0,35%
0,01%
111
207
112
207
Viterbo
23.371
5,13%
59.399
3,86%
23.658
59.741
24.131
61.493
Lazio
455.591
1.539.359
457.686
1.510.459
464.094
1.525.471
Nel 2015 le 112 imprese operanti nel territorio comunale, che rappresentavano lo 0,48% del totale provinciale (23.371 imprese attive), hanno occupato 206 addetti, lo 0,35% del dato provinciale (59.399 addetti); in media, ogni impresa nel 2015 ha occupato poco meno di due persone (1,84).
^Romitori di Ischia di Castro, su provincia.vt.it. URL consultato l'8 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale l'11 dicembre 2013).
^Copia archiviata, su tesoridellazio.it. URL consultato l'8 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 16 dicembre 2013).
^I romitori del Fiora, su lungolagocapodimonte.it. URL consultato l'8 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 12 dicembre 2013).
^Anna Laura, Il Museo Civico Archeologico “Pietro e Turiddo Lotti” di Ischia di Castro - Itinerario storico, Quaderni 9, Sistema Museale del Lago di Bolsena, Bolsena, 2008 - Capitolo 5: Il periodo Longobardo - L'insediamento della Selvicciola e nei Colli di S. Colombano - pp. 55-73 - Capitolo 6: Insediamenti monastici medievali. L'eremo di Poggio Conte e il Monastero di San Colombano - pp. 75-108.
^ Design: Wolfgang (www.1-2-3-4.info) / Modified: PitSoft, Comune di Ischia di Castro, su comune.ischiadicastro.vt.it. URL consultato il 19 ottobre 2016.
^ Super User, La Fondatrice, su adoratriciperpetue.org. URL consultato il 2 novembre 2016 (archiviato dall'url originale l'8 novembre 2016).