L 'ex palazzo Bonzi è una dimora storica di Crema.
Storia
Della famiglia Bonzi se ne ha notizia nel XV secolo; in particolare si ricorda Fachino di mestiere barcaiolo e trasportatore dal Serio (probabilmente partendo da Montodine o Bocca Serio) fino a Venezia[1][2].
Con ducale datata 28 marzo 1450[2] per i favori ottenuti nella guerra con Milano Fachino ottenne dalla Serenissima il diritto di pesca lungo il fiume, inizialmente per cinque anni via via sempre prorogati[1]; tali diritti vennero riconfermati quando Crema tornò ai veneziani dopo l 'invasione francese del 1509-1512, concessi quale sorta di ringraziamento per il sacrificio di Bernardino morto squartato dopo essere stato colto in fragrante mentre trasportava armi verso Venezia in barba al divieto del governatore francese[1][2].
I Bonzi acquisirono così una certa agiatezza tanto che i fratelli Giovanni, Bernardino e Giuseppe Maria offrirono a Venezia la somma di 800 ducati chiedendo di essere investiti col titolo di conte della giurisdizione sul fiume Serio con prerogativa feudale, una richiesta che venne accolta[1] l'11 febbraio 1694 a firma del doge Silvestro Valier[2].
Mancava ancora un tassello, una dimora degna del loro nuovo status: così nel 1696 acquistarono con atto redatto dal notaio Giuseppe Mandricardi tre case contigue di proprietà di Francesco Montanaro site in Contrada di Porta Ombriano[3]. L 'edificio nel 1702 doveva essere ormai concluso poiché secondo gli atti della parrocchia della Santissima Trinità ivi morì Giuseppe Maria[3].
Risale al 1738 l 'ammissione di Ercole nel Gran Consiglio cittadino[4].
Nel settimo decennio del XIX secolo fu per breve tempo sede della filiale della Banca Commissionaria Stucki & C., successivamente Banca Commissionaria Bonzi & Stucki[5].
Lo stabile rimase alla famiglia fino alla morte di Lina Bonzi, vedova Stramezzi, avvenuta nell 'anno 1967[5].
Persone legate al palazzo
Orazio Bonzi, avvocato, nel 1797 abbracciò la causa giacobina, volle mostrare con il proprio esempio l 'abbandono della nobiltà bruciando la propria giubba e le (finte) pergamene in piazza e propugnando l 'installazione di una ghigliottina[6]. Nel 1799 fu componente della Municipalità[7] con il compito di dirigere la polizia[6]. Abbandonò la città durante la breve occupazione austro-russa; nel 1814, con l 'instaurazione del dominio austriaco ritornò all 'uso dei titoli nobiliari[6].
Valeria Bonzi con testamento del 1850 donò 30 mila lire austriache da devolvere agli Istituti dele Zitelle Ritirate e dei Mendicanti, oltre a 5 mila lire all 'Ospizio dei poveri[8].
Caratteristiche
Il palazzo risulta profondamente alterato al piano terra per le aperture di quattro grandi vetrine da adibire ad esercizi commerciali avvenute negli anni cinquanta del XX secolo[5]. Tanto al secondo piano quanto sul lato di via Tensini è possibile vedere le finestre come dovevano apparire anche al primo piano della facciata, con semplici incorniciature, ingentilite da mensoline poco aggettanti che sostengono l 'architrave.
Molto elaborato il sottogronda composto da gruppi di mensole alternate a finestre sagomate.
Il portale in pietra con arco a tutto sesto introduce all'androne e quindi al cortile che presenta un rivestimento in porfido; all'angolo sud-est si colloca il portico con due luci a meridione e due a oriente, con arco a tutto sesto e colonne di ordine dorico.