Nel suo lungo episcopato si ritrovò ad affrontare i problemi che affliggevano una terra allora impoverita e depressa quale la Maremma Grossetana, lamentando continuamente alla Santa Sede e al granduca la mancanza di prelati e la scarsa preparazione dei pochi che vi si trovavano.[1] Si occupò di riordinare l'archivio diocesano e il patrimonio della curia, e anche di restauri edilizi, come ad esempio il palazzo vescovile.[1] Nel 1748 emanò una lunga serie di disposizioni per risollevare il convento delle Clarisse dalle precarie condizioni economiche nelle quali versava.[3]
Fedele all'arcivescovo di Siena, Tiberio Borghesi, ebbe rapporti contrastanti con il granduca Pietro Leopoldo.[1] Il granduca, in riferimento all'età ormai avanzata del Franci, lo definì «uomo debole e quasi incapace» nella relazione in seguito alla visita effettuata nelle due province senesi del 1787.[4][5]
^abGiovanni Antonio Pecci, Grosseto città vescovile; da Lo Stato di Siena antico e moderno (pt. V, cc. 33-192), trascrizione e cura di Mario De Gregorio e Doriano Mazzini, Società Bibliografica Toscana, 2013, p. 158.
^abGiotto Minucci, La città di Grosseto e i suoi vescovi (498-1988), vol. 2, Firenze, Lucio Pugliese, 1988, pp. 404-415.
^Pietro Leopoldo d'Asburgo-Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, vol. 3, a cura di A. Salvestrini, Firenze, 1974, pp. 525-528.
^Grosseto città. Documenti: 1787, su atlante.chelliana.it. URL consultato il 31 gennaio 2018 (archiviato dall'url originale il 18 maggio 2017).
Giotto Minucci, La città di Grosseto e i suoi vescovi (498-1988), vol. 2, Firenze, Lucio Pugliese, 1988.
Giovanni Antonio Pecci, Grosseto città vescovile, da Lo Stato di Siena antico e moderno (pt. V, cc. 33-192), trascrizione e cura di Mario De Gregorio e Doriano Mazzini, Società Bibliografica Toscana, 2013.