Il 24 dicembre 1848 entrò nella Congregazione del Santissimo Redentore, e nel 1852 ne divenne sacerdote, a 23 anni. Mostrò, sin da subito, dedizione all'abito monacale, trasmettendo la sua conoscenza in materia ecclesiastica ad un gruppo di giovani che lo seguivano, come loro maestro, nonostante vari tentativi di allontanamento da parte di potenti personaggi salernitani.[2]
Durante il suo episcopato non rinunciò mai alle vesti di «monaco liguorino», portando molte delle abitudini della Congregazione, nella sua sede, come la meditazione al mattino, dopo la sveglia, o la preghiera, a cui tutti prendevano parte.[3]
La sua povertà e l'amore per la chiesa diocesana
È ricordato per aver condotto una vita dedita all'eliminazione degli sprechi superflui:[2]
«Sulla sua persona faceva i più austeri risparmi: calzini ordinari, una sottana comune, delle scarpe grossolane, un cappello non di prima qualità. Si possono contare le volte in cui , viaggiando in treno, andò in prima classe; e spesso, scendendo dal treno, fino al posto dove doveva prendere la carrozza, si portava lui stesso la valigetta.»
Mentre nella mensa del palazzo episcopale:
«Le frutta si mangiavano quando si potevano comprare in Muro [Lucano], o quando, standovi qualche persona di riguardo, le faceva venire da Salerno. Vino, pane, tutto era misurato.
[..] Siccome in Congregazione il sabato si mangia un sol piatto, così anche nell'Episcopio di Muro il sabato si mangiava un sol piatto. [..] Badava anche riguardo ai lumi, come dovevano stare accesi la sera; e rimproverava chi il suo lume lo teneva acceso con fiamma molto alta.»
La sede era priva di servitù, poiché, come spiega padre Salvatore Schiavone:
«I camerieri che erano chiamati al suo servizio, sentendo di dover stare con un Vescovo, subito correvano. Ma poi, abituati in altre case a vivere più lautamente, vedendo la vita povera che si menava nell'Episcopio di Muro, subito se ne scappavano, tanto che Monsignore era sempre privo di domestici.»
Diverse sono le sue opere, come benefattore, volute per la società e il territorio della sua diocesi, come la costruzione di una casa di ricovero per orfani; diversi interventi di restauro nella piazza della cattedrale, dove fece ergere una grande statua di bronzo a San Gerardo Maiella, costata oltre 10.000 lire dell'epoca.[2]
Morì il 22 marzo 1908 a Napoli, presso il Collegio di Sant'Antonio a Tarsia alle ore 15.[2]
«Anzi nell'Episcopio aveva introdotto proprio gli stessi usi dei Congregati, come, il modo della sveglia, la pia pratica del Sabatino, e la meditazione al mattino ed alla sera, a cui dovevano prendere parte tutti di casa, comprese le persone di servizio.»