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Commento: Soprattutto per lo stile frutto forse di una traduzione automatica (a titolo d'esempio le virgolette e la #Bibliografia sono completamente fuori standard).
Mentre si lavorava al coro di Notre-Dame nel marzo del 1711, il pilastro dei nauti, il quale era stato eretto sotto Tiberio dai marinai di Parigi detti anche battellieri della Senna, fu esumato a spese della cassa corporativa di quest'ultimi. Il monumento era in origine costituito da 4 blocchi di pietra calcarea di Saint Leu e ciascuno di essi possedeva in ognuna delle facce dei rilievi in cui si mescolavano divinità galliche e romane. Il pilastro, che doveva essere alto 5,24 metri ed avere i lati di 91×74 centimetri, era probabilmente coronato da una statua di Giove che si ergeva al di sopra della composizione. I blocchi del pilastro furono, salvo una eccezione che ci è giunta per intero, segati in due in un'epoca remota e tutt'oggi ne possediamo la sola parte superiore. Delle ricostruzioni d'insieme sono state tentate più volte, ma la disposizione dei blocchi impilati resta ipotetica e non c'è una visione unanime del loro ordine da parte degli storici. Il pilastro, i cui rilievi sono particolarmente anneriti dal salnitro e quindi difficili da decifrare nonostante il restauro avvenuto nel 2001, si trova al Museo di Cluny, nella quale riceve solo un'attenzione superficiale da parte dei visitatori.
Valore religioso del pilastro
Lo storico Henri Lavagne scrisse che il pilastro parigino si presenta come “la testa di una serie di monumenti che, in Gallia, divengono in successione le colonne di Giove, erette da uno zoccolo rappresentante quattro divinità, ma che non avranno mai più (salvo forse a Mavilly) quell'aspetto di catechismo in immagini che caratterizza il monumento proveniente dall'antica Lutezia”. Un catechismo che è anche vulgata, un equilibrio fra la religione greco - romana e quella gallica testimoniato dal bilinguismo delle iscrizioni che lasciano supporre ad una coesistenza pacifica delle religioni. È stato ricordato anche che le “religioni politeiste non portano all'intransigenza”. La tolleranza romana fu “il frutto della pietas timida verso divinità straniere, di cui valse più accaparrarsi i favori che non l'effetto di un'etica osservanza”.
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