Tra i principali artisti e artigiani della famiglia si possono ricordare Antonio, che realizzò una pregevole anfora con la quale si mise in particolare evidenza, attualmente conservata nel Museo di Roccavaldina; Alfonso, attivo, secondo le documentazioni storiche, a cavallo del XVII secolo, che fu probabilmente l'esponente più significativo e più celebre di tutta la dinastia di artisti, ed eseguì due piatti esposti nel Museo diocesano di Pesaro, e fu seguace e forse anche allievo del manierista C. Ridolfi; e come ultimo rappresentante della dinastia, Vincenzo, nato nel 1607.[1][2]
Le opere dei Patanazzi si possono considerare come il canto del cigno della ceramica urbinate tardorinascimentale e si ispirano per alcuni elementi allo stile dei Fontana, caratterizzandosi per la decorazione minuta, a chiaro scuri a 'raffaellesche'; tutti questi artisti devono molto della loro arte a Guido Pellipario.[1]
Le opere dei Patanazzi ebbero le forme più originali e diversificate: dai vasi alle fontane da giardino, dalle fruttiere colorate, come da copione urbinate, con la prevalenza del giallo e dell'arancione.[1]
Comunque, l'inseguimento della originalità a tutti i costi non sempre aumentò il pregio dell'opera, e semmai evidenziò già i primi segnali della decadenza.[1]
Note
^abcdePatanazzi, in le muse, IX, Novara, De Agostini, 1967, p. 56.
^abPatanazzi, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 10 dicembre 2021.
Bibliografia
G. Ballardini, La maiolica italiana dalle origini alla fine del Cinquecento, Firenze, 1938.
(FR) A. Darcel, Musée de la Renaissance. Notice des faiences Peintes italiennes, hispano-moresques et françaises, Parigi, 1864.
(EN) C. Drury e E. Fortnum, Maiolica, Oxford, 1896.
(FR) J. Giacomotti, La majolique de la Renaissance, Parigi, 1961.
G. Guasti, Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramiche in Toscana, Firenze, 1902.