Il termine invocazione, utilizzato in ambito religioso, spirituale, e talora nel contesto della magia e dell'occultismo, designa una richiesta rivolta ad una potenza divina superiore, implorandola affinché fornisca un aiuto, un sostegno, o una protezione.[2]
A seconda dei casi, può essere sinonimo di supplica o di preghiera,[3] oppure indicare l'incantesimo con cui si impartisce un comando o si effettua un rituale di evocazione,[4] o ancora può significare la chiamata con cui si auspica una forma di possessione.[5]
Il termine, derivante dal latinoin-vocare, «chiamare dentro», andrebbe propriamente distinto dall'evocazione (da ex-vocare, «chiamare fuori»),[7] sebbene possa essere talora utilizzato come sinonimo di quest'ultimo.[8]
Mentre infatti l'invocazione consiste spesso in una vera e propria forma di preghiera espressa a un livello puramente interiore verso un'entità divina, o un angelo, un santo, un patrono,[3] l'evocazione al contrario si prefigge di stabilire un contatto esteriore, su un piano sensibile e manifesto, con gli spiriti dei trapassati,[9] con quelli erranti, o di natura infera.[8]
L'evocazione mira in definitiva a far discendere un'anima dall'aldilà,[10] l'invocazione invece a elevare il praticante stesso.[3]
L'invocazione delle divinità nel mondo antico seguiva generalmente delle formule di rito già fissate e prestabilite, attestate dai canoni letterari. Oltre all'ambito religioso, infatti, esempi in tal senso abbondano nella letteratura greca e romana, nelle quali l'intervento soprannaturale delle Muse era ritenuto indispensabile per ispirare i poeti e infondere capacità di elevazione alla loro arte, impossessandosi di loro stessi.[12]
Nel Medioevo, riprendendo usanze pagane, si usava introdurre i documenti ufficiali con formule invocative, del tipo «in nomine Dei» («in nome di Dio»): oltre che verbale, tale invocazione poteva anche essere simbolica, riportando solamente il monogramma di Cristo, o altri glifi.[2]
Analoga funzione svolge in ambito islamico l'invocazione Bismillah («In nome di Dio il Misericordioso»), con cui si aprono tutte le sure del Corano.[2]
Altri esempi di invocazione si hanno nei rituali magici, come la teurgia o più recenti pratiche cerimoniali; nell'orfismo assumevano la forma di inni, utilizzati da alcune sette religiose del III secolo d.C., e ripresi dall'umanista Marsilio Ficino a scopi terapeutici dell'anima e dei corpi sottili.[21]
Nella goezia l'evocazione di uno spirito, che consiste nel tracciare un cerchio magico, si abbina alla fase dell'invocazione, nella quale il mago entra fisicamente all'interno di questo.[22] Attraverso tali pratiche, dalle più semplici alle più complesse, egli mira in un certo senso a fondersi e diventare un tutt'uno con le manifestazioni della divinità, ricevendone una sorta di possessione per acquisirne le doti emotive e intellettuali.[5]
I rituali codificati delle tradizioni occulte, a ogni modo, prevedono solo l'invocazione di esseri che siano ben disposti verso il mago.[22][23]