Fin dall'anno 1920, iscrittosi al Partito Repubblicano Italiano, animò la sua sezione trentina, assumendo immediatamente posizione contro il fascismo e cominciando una campagna per più di vent'anni contro quella dittatura verso cui non si fece mai illusioni, criticando senza riserve il fenomeno fascista, definendolo controrisorgimentale.
Nel 1924 si avvicinò a Randolfo Pacciardi, tra i fondatori del movimento “Italia Libera”. A Trento, il 16 novembre 1923, un gruppo di ex combattenti iscritti all'Associazione Nazionale Combattenti formò una sezione dell'associazione “Italia Libera”, intitolata a Cesare Battisti.
La sezione del capoluogo trentino di “Italia Libera” ebbe vita breve, come le altre d'altronde. Infatti i suoi membri furono obbligati ad operare nella clandestinità. Nel periodo clandestino, il gruppo trentino di “Italia Libera” organizzò con successo l'espatrio di numerosi antifascisti tra cui Egidio Reale, Pacciardi, Masini, Angeloni, la moglie e le figlie di Bruno Buozzi, la moglie di Schiavetti.
Impegno nella resistenza
Dopo l'annuncio dell'armistizio, Manci cominciò ad ammassare in luoghi sicuri munizioni ed esplosivo, che poteva reperire dato il suo lavoro di commerciante in questo settore.
Viene arrestato, insieme al comandante Gastone Franchetti dalla Gestapo il 28 giugno 1944 a causa dell'azione di Fiore Lutterotti, spia al servizio della polizia nazista che presentò un rapporto, datato 7 giugno 1944, in cui descrisse dettagliatamente la Brigata Cesare Battisti.
Muore gettandosi dal terzo piano della finestra della sede della Gestapo di Bolzano per sfuggire all'ennesima seduta di torture a cui era sottoposto da giorni, il 6 luglio 1944.
«Educato alla scuola dei sommi apostoli dell’irredentismo, fece suo il credo che rese bello il morire per la Patria. Animatore e trascinatore di popolo, seppe fondere energie e volontà per la redenzione dell’Italia da asservimenti e tirannidi. Nel nuovo risorgimento italiano, seguendo gli ammaestramenti degli avi, prese il posto additatogli dai martiri che lo precedettero nel sacrificio. Vile delazione lo dava nelle mani dei nemici che invano frugarono il nobile animo e piuttosto che procurare ad essi la sadica gioia di vederlo lentamente morire, dalla finestra della prigione si lanciava a capo fitto nel vuoto bagnando col sangue generoso la terra della Patria, che dal vermiglio amplesso fu fecondata per le future glorie.[2]»
Vincenzo Calì, Giannantonio Manci 1901-1944, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia-Museo del Risorgimento e della Lotta per la Libertà-Temi, Trento, 1994.
Vincenzo Calì (a cura di), Alpenvorland e Resistenza: tre testimonianze e un testamento politico, Trento, Temi, 2014, pp. 77-92, ISBN9788897372646.