Era una donna laicacattolica italiana appartenente all'Ordine dei Servi di Maria, professa del terzo ordine.[1] Nacque a Mantova in una famiglia nobile e, nonostante le pressioni per indurla al matrimonio, insistette invece nel perseguire il cammino religioso accanto alla sorella.[2]
Elisabetta Picenardi nacque a Mantova nel 1428 dal nobile Leonardo Picenardi e da Paola Nuvoloni. Suo padre prestò servizio come maggiordomo del marchese Gianfrancesco Gonzaga.
Elisabetta ricevette un'educazione formale come nobile e ricevette le istruzioni religiose da sua madre, mentre suo padre la istruiva in latino. Subì la morte della madre durante l'infanzia e fu il solo padre a prendersi cura di lei e di sua sorella. Nella sua infanzia visse vicino alla chiesa di San Barnaba, gestita dall'Ordine dei Servi, il cui convento nel 1448 aveva aderito precocemente alla Congregazione dell'Osservanza.[4] Suo padre avrebbe desiderato per lei un matrimonio con un uomo del loro rango. Elisabetta, invece, a vent'anni scelse di emettere i voti nel terz'ordine dei Serviti, continuando a vivere nella casa paterna. Dopo la morte del padre nel 1465 Elisabetta si traferì presso la sorella, di nome Orsina o Orsolina, che invece aveva sposato il nobile Bartolomeo Gorni. La casa si trovava in contrada del Cigno, sempre vicino alla chiesa di San Barnaba.[2][3]
Sia Elisabetta che la sorella erano diventate membre professe del Terzo Ordine dei Servi già nel 1448 ed Elisabetta si fece notare tra i suoi confratelli religiosi per la sua personale santità e gentilezza di spirito, tanto da indurre altre donne a unirsi all'ordine.[1] Come segno di austerità rivestì una camicia di capelli e si cinse di una cintura di ferro larga quattro dita che portò fino alla morte. Elisabetta recitò abitualmente la liturgia delle ore come i frati e ricevette frequentemente l'eucaristia confessandosi da fra Barnaba, che la accompagnava spiritualmente. Per la grande devozione mariana della beata, molti richiesero la sua preghiera per ottenerne l'intercessione.[3]
Elisabetta morì nel 1468. L'anno prima aveva presagito la morte e fatto testamento, lasciando ai frati serviti di San Barnaba il suo breviario e la somma di trecento ducati per il culto in tale chiesa. La sua tomba nella chiesa di San Barnaba fu presto ritenuta un luogo di miracoli.[2] Al momento delle soppressioni napoleoniche il suo corpo fu portato nella cappella gentilizia del castello di Torre de' Picenardi e infine all'interno della chiesa parrocchiale del luogo, dove tuttora si trova.[4]