Il diritto di ribellione (o diritto alla ribellione), noto anche come diritto alla resistenza[1] (o diritto di resistenza), è il diritto di un popolo di opporsi al potere illegittimo o all'ingiusto esercizio del potere da parte di un tiranno. Secondo l'interpretazione giuridico-positivista, tale diritto sarebbe riconosciuto a un popolo solo se previsto dalla sua carta costituzionale. Secondo l'interpretazione giusnaturalistica, tale diritto sarebbe invece sempre riconosciuto in quanto facente parte dei diritti naturali ed inalienabili dell’Uomo.
Nel Medioevo ne inizia sia la teorizzazione[2] (la si ritrova, ad esempio, in Tommaso d'Aquino, che si spinge perfino, a certe condizioni, a giustificare il tirannicidio, ed in Manegoldo di Lautenbach[3]), sia la concessione in documenti ottriati dal sovrano[4]; tuttavia, fu solo nella Germaniamedioevale che iniziò ad assumere valore giuridico, come strumento dei ceti contro le imposizioni del Principe: questo diritto compare nel Sachsenspiegel, in una norma riportata agli inizi del XIII secolo[5], che così recita «L'uomo può resistere al proprio re e al proprio giudice quando questo agisce contro il diritto, e financo aiutare a fargli guerra. […] Con ciò egli viola il giuramento di fedeltà»[5].
Del resto, furono proprio i privilegi medievali, primo fra tutti la Joyeuse Entrée, a fornire ai rivoltosi delle Province Unite "la principale fonte di legittimazione della resistenza contro Madrid"[6].
La Bolla d’Oro di Andrea II d'Ungheria del 1222 e il Capitolo 61 della Magna Charta inglese del 1215 possono essere inclusi fra i più antichi riconoscimenti giuridici del diritto di resistenza. Quest'ultima affermava il principio dell’Habeas Corpus, espressione che deriva da "habeas corpus ad subiciendum judicium", ovvero "che sia esibito il corpo [dell’accusato] per sottoporlo a giudizio". Ciò comportava l’obbligo di condurre i prigionieri al cospetto dei giudici entro tre giorni dall'arresto, per evitare detenzioni illegali. Tale principio abolì gli arresti arbitrari per ordine regio e affermò l’inviolabilità della persona, divenendo una prima garanzia del diritto alla libertà individuale. Garantì inoltre agli uomini liberi il diritto a essere condannati soltanto dopo un giudizio emesso da una corte di loro pari. Nell’insieme, la Charta contribuì a gettare le prime fondamenta del costituzionalismo e del parlamentarismo moderno. Nella “clausola di sicurezza” contenuta nel Capitolo 61 della Charta il Re riconosceva ai suoi sottoposti – in questo caso un Comitato di venticinque baroni – il diritto di
(EN)
«[...] assail us in every way possible, with the support of the whole community of the land, by seizing our castles, lands, possessions, or anything else saving only our own person and those of the queen and our children, until they have secured such redress as they have determined upon»
(IT)
«[...] assalirci in ogni modo possibile, con il sostegno dell'intera comunità del Paese, impossessandosi dei nostri castelli, terre, possedimenti, o qualsiasi altra cosa salvando solo la nostra persona e quella della regina e dei nostri figli, finché non avranno ottenuto tale risarcimento come hanno deciso»
se non avesse rispettato i princìpi sanciti nella Charta[7].
Nel suo L’antico regime e la rivoluzione, Tocqueville esprimeva "la convinzione intorno al ruolo nevralgico svolto dalle forze della «resistenza» alle tendenze dispotiche dei monarchi (aristocrazia in primis) quali levatrici del liberalismo: senza privilegi corporati di antico regime, niente libertà individuale moderna"[8].
Il diritto di resistenza viene spesso assimilato al concetto di disobbedienza civile e i metodi non violenti di opposizione sono stati legittimati dalla storia politica del XX secolo e riconosciuti come accettabili e compatibili l'impianto costituzionale liberal-democratico.[1]
Anche l’istituto giuridico dello sciopero, oggi quasi universalmente riconosciuto come mezzo perfettamente lecito per rappresentare il dissenso, nel passato è stato visto come estrema ratio del popolo, di alcune classi sociali o dei lavoratori, per opporsi a comportamenti reazionari da parte della classe dirigente o del governo.[1]
Studi specifici[9] hanno messo in relazione l’introduzione del diritto alla ribellione negli ordinamenti nazionali con recenti rivoluzioni (ad esempio la rivoluzione Francese) o la sconfitta di regimi totalitari (ad esempio, in Germania, la sconfitta del nazismo) o eventi particolarmente drammatici: il diritto alla rivolta, ad esempio, venne inserito nella Costituzione ruandese dopo il genocidio del 1994. Anche l'esperienza maturata a seguito di colpi di stato ha favorito la diffusione di norme costituzionali a garanzia della democrazia che potessero favorire l'esercizio del diritto alla rivolta: è questo il caso, in particolare, del Sudamerica e del Centroamerica.[10]
Teorizzazione
Questo diritto è contemplato:
Nella dottrina politica di san Tommaso, in cui si prevede il tirannicidio per il Principe che abbia violato l'ordine divino;
Nello Stato moderno. In alcune costituzioni odierne (in particolare quella tedesca) possiamo ancora trovare il diritto di resistenza, anche se nello Stato di diritto il diritto alla resistenza è stato formalmente escluso[11].
Il diritto di resistenza discende anche dal contrattualismo e dalla teoria politica di John Locke, fondata sui diritti irrinunciabili dell'individuo[12]: in quest'ottica, se i governanti calpestano i diritti naturali, vengono meno ai fondamenti del patto e si configura il diritto del popolo a opporre resistenza al sovrano.
In opposizione a Gottfried Achenwall, uno dei più importanti studiosi di diritto naturale del tempo, Kant nega invece che attraverso i diritti innati dell'uomo si possa "legittimare un diritto di resistenza al sovrano. A fondamento di questa presa di posizione netta contro il diritto del singolo individuo di opporsi al potere statale non vi sono solo considerazioni giuridiche in senso stretto, bensì filosofiche dalle quali si evince che il popolo ha sì dei diritti nei confronti dello Stato, ma non di tipo coattivo, ovvero non vincolanti"[13].
Il diritto nel mondo
Il diritto alla ribellione o resistenza è previsto dalle Costituzioni di 37 paesi in tutto il mondo, la maggior parte dei quali situati in America centrale, in Sudamerica e in Europa occidentale. Anche in Africa, alcune costituzioni garantiscono questo diritto ai loro cittadini: ad esempio, il Benin, il Ghana, Capo Verde e il Ruanda; in quest'ultimo Stato, la norma costituzionale è stata introdotta dopo il genocidio del 1994. In Asia, la sola nazione in cui questa prerogativa può essere legittimamente esercitata è la Thailandia e tale diritto è stato invocato dalle varie fazioni coinvolte nella querelle seguita alla crisi politica del 2008.[10]
Per quanto riguarda Cuba, il ricorso al diritto alla ribellione è peculiare: fu introdotto nella Costituzione da Fulgencio Batista nel 1940 dopo che questi aveva rovesciato il governo di Carlos Prío Socarrás, per giustificare la sua dittatura, ma fu il suo stesso rivale, Fidel Castro, ad avvantaggiarsi di tale norma costituzionale nel 1953 dopo essere stato arrestato per un fallito tentativo di rivoluzione. Anche grazie a tale preesistente norma, l'allora giovane Fidel Castro, al termine del processo, riuscì a strappare una pena relativamente lieve.[10]
«We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.--That to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed, --That whenever any Form of Government becomes destructive of these ends, it is the Right of the People to alter or to abolish it, and to institute new Government, [...]. Prudence, indeed, will dictate that Governments long established should not be changed for light and transient causes; and accordingly all experience hath shewn, that mankind are more disposed to suffer, while evils are sufferable, than to right themselves by abolishing the forms to which they are accustomed. But when a long train of abuses and usurpations, pursuing invariably the same Object evinces a design to reduce them under absolute Despotism, it is their right, it is their duty, to throw off such Government, and to provide new Guards for their future security.»
(IT)
«Riteniamo che queste verità siano auto-evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi ci sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. Che per assicurare questi diritti, i Governi sono istituiti tra gli Uomini, i cui giusti poteri derivano dal consenso dei governati. Che ogni qual volta una Forma di Governo diventa distruttiva di questi fini, è Diritto del Popolo modificarla o abolirla, e istituire un nuovo Governo, [...]. La prudenza, invero, imporrà che i Governi da lungo tempo costituiti non vengano cambiati per cause leggere e transitorie; e di conseguenza tutta l'esperienza ha dimostrato che gli uomini sono più disposti a soffrire, finché i mali sono sopportabili, che a farsi giustizia da soli abolendo le forme alle quali sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e usurpazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso Obiettivo, svela il disegno di ridurli sotto un Dispotismo assoluto, è loro diritto, è loro dovere, rovesciare un siffatto Governo e provvedere nuove Garanzie per la loro futura sicurezza.»
Oltre al diritto alla resistenza, diversi Stati della federazione includono il diritto alla rivoluzione all'interno della propria costituzione. Un esempio è la Costituzione del New Hampshire, che sancisce all'Articolo 10[15]:
(EN)
«Art. 10 [Right of revolution].
Government being instituted for the common benefit, protection, and security, of the whole community, and not for the private interest or emolument of any one man, family or class of people; therefore, whenever the ends of government are perverted, and public liberty manifestly endangered, and all other means of redress are ineffectual, the people may, and of right ought to reform the old, or establish a new government.
The doctrine of nonresistance against arbitrary power, and oppression, is absurd, slavish and destructive of the good and happiness of mankind.»
(IT)
«Art. 10 [Diritto alla rivoluzione].
Essendo il governo istituito per il benessere comune, la protezione e la sicurezza dell'intera comunità, e non per l'interesse privato o il profitto di un singolo individuo, famiglia o classe di persone; allora, qualora i fini del governo siano pervertiti, e la libertà pubblica sia manifestamente in pericolo, e tutti gli altri mezzi di riparazione siano inefficaci, il popolo può, e in verità deve riformare il vecchio governo, o istituirne uno nuovo.
La dottrina di non-resistenza contro il potere arbitrario e l'oppressione è assurda, schiavile e distruttiva per il bene e la felicità dell'Umanità.»
(Costituzione dello Stato del New Hampshire, Articolo 10, 2 giugno 1784)
«Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l'homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté, et la résistance à l'oppression.»
(IT)
«Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.»
«La résistance à l'oppression est la conséquence des autres Droits de l'homme.»
(IT)
«La resistenza all’oppressione è la conseguenza degli altri Diritti dell’uomo.»
L'Articolo 35 della stessa Costituzione dichiara:
(FR)
«Quand le gouvernement viole les droits du peuple, l'insurrection est, pour le peuple et pour chaque portion du peuple, le plus sacré des droits et le plus indispensable des devoirs.»
(IT)
«Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è, per il popolo e per ciascuna parte del popolo, il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.»
All'indomani della seconda guerra mondiale, l'assemblea costituente francese incluse il diritto alla ribellione o resistenza nell'Articolo 21 del progetto di Costituzione della Repubblica Francese del 19 aprile 1946, che dichiara[18]:
(FR)
«Quand le Gouvernement viole les libertés et les droits garantis par la Constitution, la résistance sous toutes ses formes est le plus sacré des droits et le plus impérieux des devoirs.»
(IT)
«Quando il Governo viola le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza in tutte le sue forme è il più sacro dei diritti e il più imperativo dei doveri.»
In Germania
Dopo l'esperienza della dittatura nazista, in molte carte costituzionali dei singoli lander tedeschi venne riconosciuto il diritto alla ribellione o resistenza. Ad esempio, l'Articolo 147 della Costituzione del lander dell’Assia del 1° dicembre 1946 dichiara[19]:
(DE)
«Widerstand gegen verfassungswidrig ausgeübte öffentliche Gewalt ist jedermanns Recht und Pflicht.»
(IT)
«La resistenza alla violenza pubblica incostituzionale è un diritto e un dovere di tutti.»
L'Articolo 6 della Costituzione del lander di Brandeburgo del 31 gennaio 1947 dichiara[20]:
(DE)
«Die Staatsgewalt findet im Rahmen der Gesetze ihre Grenzen an den Grundrechten. Diese sind:
Freiheit der Person,
Freiheit der Meinungsäußerung,
Glaubens- und Gewissensfreiheit,
Freiheit der Wissenschaft und ihrer Lehre,
Wahlfreiheit,
Vereins- und Versammlungsfreiheit,
Freiheit des Streikrechts,
Freiheit des Stimmrechts,
Freiheit der Wohnung,
das Recht der Freizügigkeit,
die Wahrung des Brief- und Postgeheimnisses.
Gegen Gesetze, die gegen Moral und Menschlichkeit verstoßen, besteht ein Widerstandsrecht.»
(IT)
«Nel quadro delle leggi, il potere statale trova i suoi limiti sui diritti fondamentali. Questi sono:
libertà della persona,
libertà di espressione,
libertà di credo e di coscienza,
libertà della scienza e del suo insegnamento,
libertà di scelta,
libertà di associazione e riunione,
libertà del diritto di sciopero,
libertà di voto,
libertà di soggiorno,
il diritto alla libertà di movimento,
la tutela della corrispondenza e del segreto postale.
Esiste il diritto di resistere alle leggi che violano la morale e l’umanità.»
L’Articolo 19 della Costituzione del lander di Brema del 21 ottobre 1947 dichiara[21]:
(DE)
«Wenn die in der Verfassung festgelegten Menschenrechte durch die öffentliche Gewalt verfassungswidrig angetastet werden, ist Widerstand jedermanns Recht und Pflicht.»
(IT)
«Se i diritti dell’uomo stabiliti dalla costituzione sono violati dal potere pubblico in contrasto con la costituzione, la resistenza di ciascuno è diritto e dovere.»
A livello federale, la Deutsches Grundgesetz (Legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania) riconosce ai cittadini il diritto di resistere contro i tentativi di abolizione della Carta costituzionale. L'Articolo 20, 4° comma, della Costituzione della Repubblica Federale Tedesca del 23 maggio 1949 dichiara infatti[22]:
(DE)
«Gegen jeden, der es unternimmt, diese Ordnung zu beseitigen, haben alle Deutschen das Recht zum Widerstand, wenn andere Abhilfe nicht möglich ist.»
(IT)
«Tutti i tedeschi hanno diritto di resistere contro chiunque tenti di rovesciare l’ordinamento vigente, qualora non ci sia altro rimedio possibile.»
«Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino»
Questa formulazione è somigliante a quella della Costituzione rivoluzionaria francese del 1793, sostituendo però la parola "insurrezione" con "resistenza".
L'Assemblea dibatté a lungo sulla necessità di introdurre nella Costituzione uno specifico passaggio che ribadisse tale prerogativa popolare in caso di abuso da parte delle istituzioni. Aldo Moro, nella seduta del 3 dicembre 1946, espresse a riguardo la seguente posizione, condivisa anche da Palmiro Togliatti[23]:
«Dopo venti anni di arbitrio del potere esecutivo che avevano portato alla creazione di una dottrina per la quale la sovranità dello Stato consisteva nell’assoluta potenza, o prepotenza, si deve affermare nella Costituzione che il potere dello Stato è un potere giuridico, e che lo Stato comanda nei limiti della Costituzione e delle leggi ad essa conformi. Questa precisazione è tanto più necessaria in relazione all’articolo 3 formulato dall’onorevole Dossetti, nel quale si precisa come al singolo, o alla collettività, spetti la resistenza contro lo Stato, se esso avvalendosi della sua veste di sovranità, tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi. [...] Dopo una esperienza storica come quella vissuta, non crede si possa fare a meno di fissare con la massima chiarezza i seguenti concetti: sovranità dello Stato nell'ambito della legge; organi del popolo o delegati dal popolo all'esercizio della sovranità; diritto e dovere di resistenza del singolo e della collettività agli atti arbitrari dello Stato.»
Nella seduta del 5 dicembre 1946, il deputato e giurista Costantino Mortati, esponente della Democrazia Cristiana e principale oppositore all'introduzione del diritto di resistenza nella Costituzione repubblicana, riuscì però a convincere l'Assemblea a espungere il relativo comma dal testo, sottolineando la difficoltà insita nel distinguere la legittima ribellione da quella illegittima[1].
Tuttavia, sebbene il diritto di resistenza all'oppressione non sia esplicitamente menzionato dall'ordinamento giuridico italiano, vari autorevoli costituzionalisti, giuristi e politici hanno ritenuto che vi sia comunque compreso in forma implicita. Il diritto dei cittadini italiani di resistere all'oppressione sarebbe infatti implicitamente legittimato sia dal principio della Sovranità Popolare (Art. 1 della Costituzione), sia dal fatto che tale diritto sarebbe una delle garanzie estreme a difesa della Costituzione nel caso vengano violati i principi fondamentali in essa stabiliti. Fra i sostenitori di questo orientamento interpretativo si possono citare, ad esempio, Costantino Mortati, Paolo Barile, Giuliano Amato e Francesco Cossiga.
Mortati, commentando l’Art. 1 della Costituzione Italiana, riconobbe la possibilità che organizzazioni create direttamente dal popolo potessero agire al di fuori degli schemi normativi traendo legittimazione proprio dal principio della Sovranità Popolare. Secondo Mortati infatti[24]:
«La resistenza trae titolo di legittimazione dal principio
della sovranità popolare perché questa, basata com’è sull’adesione attiva dei cittadini ai valori consacrati nella Costituzione, non può non abilitare quanti siano più sensibili ad essi ad assumere la funzione di una loro difesa e reintegrazione quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza o la carenza degli organi ad essa preposti.»
«Anche qualora il diritto positivo vietasse espressamente la resistenza, essa sarebbe perfettamente legittima in quanto la violazione della costituzione materiale compiuta da un soggetto legittimerebbe la conseguente violazione delle norme che vietano la resistenza da parte di un altro soggetto interessato al mantenimento delle basi dell’ordinamento violato. Infatti, dai lavori preparatori si ha la sensazione che l’Assemblea Costituente non abbia voluto costituzionalizzare un tale principio, ma che non abbia neppure
voluto prendere la esplicita posizione di vietarlo.»
Secondo Amato, quando gli organi di controllo e di garanzia dello Stato mancano di funzionare, ovverosia quando è lo stesso apparato dello Stato e lo stesso Governo a essere «partecipe dell’azione eversiva» compiendo «atti difformi dai valori e dalle finalità fatti propri dalla coscienza collettiva ed indicati nella Costituzione», allora il ricorso alla resistenza, individuale o collettiva, sarebbe legittimo. Amato affermò inoltre[26]:
«Ove circostanze particolari lo impongano, come può disconoscersi al popolo, che della sovranità è titolare e che ne controlla l’esercizio [...] da parte dello Stato-governo, il potere di ricondurre alla legittimità, con mezzi anche non previsti, questo esercizio, ove irrimediabilmente se ne discosti.»
Cossiga, in più occasioni, difese la legittimità della resistenza attiva o lotta armata se esercitata a seguito del sopraggiungere di circostanze straordinarie. Ad esempio, in una intervista rilasciata nel 2003 ad Antonello Lai riguardante l’ipotesi di collocazione in Sardegna di un deposito nazionale di scorie nucleari, Cossiga si disse favorevole a impugnare le armi e a usare le bombe pur di impedire che il progetto venisse realizzato, dichiarando[27][28][29]:
«Vi sono dei casi nei quali solo la violenza può sconfiggere l’ingiustizia.»
Nello stesso anno Cossiga rilasciò un'intervista al programma televisivo "Le Iene" sul tema degli Anni di Piombo e delle BR. Alla domanda "quando secondo lei è giustificato il ricorso alla violenza?" Cossiga rispose[30]:
«Quando non vi è altra strada per difendere il diritto e la libertà di ciascuno.»
Nel diritto internazionale
Nelle norme internazionali sono presenti vari riferimenti al diritto, o alla possibilità, di ribellione o resistenza.
Lo Statuto del Tribunale di Norimberga, istituito a seguito del'Accordo di Londra dell’8 agosto 1945, stabilì il principio della responsabilità penale personale per coloro che commettono crimini di guerra e/o crimini contro l’Umanità, anche se in esecuzione di ordini emanati da un’autorità politica o militare superiore[31]. Da questo orientamento conseguì logicamente il diritto-dovere di tutti di non contribuire, con la propria cieca obbedienza, alla commissione di tali crimini, e il diritto-dovere di tutti di resistere all'oppressione derivante da tali crimini. Per i militari, ne conseguì specificatamente il diritto-dovere di non eseguire ordini palesemente criminali o criminògeni. Questo orientamento è stato recepito in numerosi ordinamenti giuridici del secondo dopoguerra, elevato a diritto positivo di valore costituzionale.
«Whereas it is essential, if man is not to be compelled to have recourse, as a last resort, to rebellion against tyranny and oppression, that human rights should be protected by the rule of law, [...]»
(IT)
«Considerando che è essenziale, affinché l'uomo non sia costretto a ricorrere, come ultima risorsa, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione, che i diritti umani siano tutelati dallo stato di diritto, [...]»
I due protocolli aggiuntivi dell’8 giugno 1977, che integrano la Convenzione di Ginevra del 1949, riconoscono lo status di combattente legittimo anche al “partito insurrezionale” in lotta contro eserciti d’occupazione di Stati esteri, oppure, nel caso di una guerra civile, in lotta contro governi razzisti – e, per estensione, tirannici in generale. In particolare, il primo protocollo estende la protezione fornita dalla Terza convenzione di Ginevra del 1929 anche ai combattenti irregolari o guerriglieri. Tale convenzione riconosce lo stato di combattente legittimo – e di conseguenza lo stato di prigioniero di guerra in caso di cattura – a ogni belligerante in un conflitto armato internazionale che rispetti certe norme di comportamento. Tali norme sono[33]:
Ricevere ordini da una persona di grado superiore responsabile per le azioni dei propri subalterni,
Portare un segno distintivo della propria organizzazione in modo da poter essere riconosciuto da lontano,
Portare le armi apertamente durante le azioni militari,
Svolgere le operazioni militari in conformità con le leggi e gli usi di guerra.
Infine, la Risoluzione 37/43 dell’Assemblea Generale dell’ONU, adottata nella 90ª seduta plenaria del 3 dicembre 1982, menziona esplicitamente il diritto alla ribellione o resistenza. Tale risoluzione fu emanata soprattutto in conseguenza agli atti terroristici ed aggressioni perpetrate dal governo sud africano contro vari Stati africani indipendenti (in particolare Angola, Botswana, Mozambico, Seychelles e Zambia), per riaffermare il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla sovranità, e per deplorare le conseguenze dell’invasione israeliana del Libano nell'agosto 1982. La Risoluzione è intitolata[34]:
(EN)
«Importance of the universal realization of the right of peoples to self-determination and of the speedy granting of independence to colonial countries and peoples for the effective guarantee and observance of human rights.»
(IT)
«Importanza della realizzazione universale del diritto dei popoli all'autodeterminazione e della rapida concessione dell'indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali per l'effettiva garanzia e rispetto dei diritti umani.»
Il secondo punto della Risoluzione:
(EN)
«2. Reaffirms the legitimacy of the struggle of peoples
for independence, territorial integrity, national unity and
liberation from colonial and foreign domination and foreign
occupation by all available means, including armed struggle»
(IT)
«2. Riafferma la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dall'occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata»
Note
^abcd Antonello Ciervo, Diritto di resistenza, in Diritto on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012-2015.
^Claudio Belloni, Obbedienza religiosa e resistenza politica, Rivista di storia della filosofia. Fascicolo 2, 2007 (Firenze: [poi] Milano: La Nuova Italia; Franco Angeli).
^«Poiché nessuno è in grado di farsi da sé solo imperatore, è chiaro che è il popolo a innalzare uno sopra tutti così che egli possa governare e reggere l’impero con la giustizia ( [...] ) Agli imperatori e ai re che proteggono il regno si devono lealtà e rispetto, ma se essi si volgono all’esercizio della tirannide allora ogni obbedienza e rispetto vengono a mancare. Quando colui che è stato scelto per punire i malvagi diviene egli stesso malvagio e esercita con crudeltà contro i suoi sudditi la tirannide che aveva il compito di allontanare dal regno, è evidente che deve decadere dalla carica concessagli e che il popolo ha il diritto di liberarsi dal suo dominio: è il re divenuto tiranno il primo a rompere il patto. Nessuno può accusare il popolo visto che il re è stato il primo a tradire la fiducia pattuita.»
^"Il riconoscimento formale del diritto di resistenza ricorre alcune volte – forse già negli anni di Ferdinando I – nei privilegi con i quali i re si impegnavano solennemente a mantenere una terra aggregata al demanio": E. Igor Mineo, Communautés et pouvoirs en Italie et dans le Maghreb aux époques médiévales et modernes - Come leggere le comunità locali nella Sicilia del tardo medioevo: alcune note sulla prima metà del Quattrocento, MEFRM: Mélanges de l'École française de Rome: Moyen Âge: 115, 1, 2003 p. 607 (Roma: École française de Rome, 2003).
^C. Secretan, Les privilèges berceau de la liberté. La Révolte des Pays-Bas: aux sources de la pensée politique moderne (1566-1619), Paris, Vrin, 1990.
^Meriggi Marco [rec.], Assolutismo ieri e oggi - Meriggi legge Cosandey-Descimon, Storica: rivista quadrimestrale: IX, 25-26, 2003, p. 325 (Roma: Viella).
^Durante i lavori dell’Assemblea costituente, fu respinto l'emendamento di Giuseppe Dossetti, volto ad introdurre nella Costituzione un articolo secondo cui «la resistenza individuale e collettiva» nei confronti dei pubblici poteri che vìolino le libertà fondamentali, rappresenta «un diritto e dovere di ogni cittadino».
^"Il diritto di resistenza ha sempre rivendicato il suo essere diritto, giuridicamente fondato, sostenuto dalla giuridicità naturale, implicito nei vincoli contrattuali o nella struttura convenzionale della giuridicità positiva": Teresa Serra, La disobbedienza civile: un fenomeno in evoluzione, Partecipazione e conflitto: 2, 2013 p. 34 (Milano: Franco Angeli, 2013).
^Alessio Calabrese, A proposito del saggio di Giuliano Marini. La filosofia cosmopolitica di Kant, Archivio di storia della cultura: XXIII, 2010, p. 255 (Napoli: Liguori, 2010).
^Costantino Mortati, Commento all’art. 1; in Giuseppe Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli - Soc. ed. Foro it., Bologna - Roma, 1975, I, pag. 32, nota 1.
^Paolo Barile, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Cedam, Padova, 1953.
^Giuliano Amato, La sovranità popolare nell’ordinamento italiano; in
Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1962.
AA.VV., In caso di Golpe. Manuale teorico-pratico per il cittadino di resistenza totale e di guerra di popolo, di guerriglia e di controguerriglia, Savelli, Roma, 1975
Ermanno Vitale, Difendersi dal potere. Per una resistenza costituzionale, Laterza, Roma-Bari, 2010
Giovanni Tonella, Il problema del diritto di resistenza. Saggio sullo Staatsrecht tedesco della fine Settecento, Editoriale Scientifica, Napoli 2007