La datazione è incerta, viene però considerata tra le prime opere del pittore a Bergamo, forse subito dopo la Pala Martinengo del (1513-1516) quando il pittore subiva ancora l'influenza del classicismo raffaellesco, la similitudini della figura di Cristo con quello della cappella Suardi a Trescore Balneario o quello nel Polittico dei Santi Alessandro e Vincenzo farebbero presupporre invece per una collocazione temporale alla fine del periodo bergamasco dell'artista, o ad una revisione delle sue prime opere.
Le dimensioni della tela vennero modificate nel 1793 da Francesco Rossis o Rospis, che ne smussò gli angoli con un taglio netto di forbice, forse per adattarla ad una nuova cornice barocca, venne rinforzata con una tela di sostegno che causò, dovuto all'uso della colla di natura proteica, un danno ai colori alterando gli strati fondamentali del dipinto danneggiandolo gravemente, così come sono evidenti i segni dei chiodi del fissaggio alla cornice, il tutto per un costo di lire 31.
Il primo intervento di restauro fu dal laboratorio dell'Accademia Carrara negli anni '80, sotto la direzione di Bertelli, nel 1997 da Benigni e nel 2010 da Minerva Maggi, Eugenia De Beni e Alberto Sangalli sotto la direzione scientifica di Pacia[2].
Descrizione e stile
Da un punto di vista iconografico la pala spicca come una delle più fantasiose invenzioni del Lotto, copiata per secoli dagli artisti locali. In particolare la pala Trinità di Giovan Battista Moroni conservata presso la chiesa di san Giuliano di Albino[3], e ben quattro da Enea Salmeggia.
Il Lotto si manifesta in tutta la sua grande preparazione teologica che nasce dall'intensa lettura, studio e interpretazione delle scritture. Gesù è infatti raffigurato nella gloria del cielo dentro un cerchio di nubi, come nelle scene della trasfigurazione. Poggia i piedi su due cerchi paradisiaci e allarga le braccia per mostrare le ferite della passione, tra lo sfolgorio del panneggio volante, mentre sopra di lui vola la colomba dello Spirito Santo.
La parte più straordinaria è però l'apparizione del Padre: invece della divinità umanizzata, evocata magari da una mano benedicente che scende dal cielo, come era d'uso raffigurare, Lotto lo rappresentò come un'entità di pura luce, che si materializza alle spalle del figlio, sollevando le braccia, in un concerto di gesti di estrema efficacia, rifacendosi al libro del Deuteronomio
«Voi non avete visto nessuna immagine, sentite solo una voce»
«Tu non puoi contemplare la mia faccia, perché nessun uomo può contemplare me e restare vivo.»
(Esodo, XXXIII,20)
La luce dell'emanazione divina invade la tela, in maniera talmente abbagliante da far apparire, per contrasto, scure e grigiastre le nubi, per non parlare del paesaggio alla base, che si assesta come una macchia d'ombra. Il Figlio è l'immagine del Padre che lo avvolge con la sua luce, evidente amore verso il suo popolo attraverso il mistero della salvazione.
«Chi mi vede, vede anche colui che mi ha inviato»
(Giovanni. XII, 45)
Si tratta di un vero e proprio "rovesciamento del partito luministico" (Lucco, 1997), che dà alla parte superiore un connotato particolarmente etereo e divino.
Note
^Trinità, Lotto, Lorenzo, su lombardiabeniculturali.it, Lombardia Beni Culturali. URL consultato il 29 agosto 2018.
^ Laura Paola Gnaccolini, Lorenzo Lotto, Fondazione Credito Bergamasco, p. 14.
^ Andreina Franco Loiri Locatelli, Nella chiesa di Sant'Alessandro della Croce, in La rivista di Bergamo / Patrocinio Assessorato Cultura e Istruzione Provincia di Bergamo, OCLC88732452. Andreina Franco Loiri Locatelli, Nella chiesa di Sant'Alessandro della Croce, in La rivista di Bergamo / Patrocinio Assessorato Cultura e Istruzione Provincia di Bergamo, OCLC88732452.