Fin dalla creazione il partito seguì la linea politica del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, un allineamento che, soprattutto nel periodo stalinista, gli valse diverse critiche da parte degli altri partiti di sinistra e lo portò ad alcune scissioni (in particolare ad opera dei sostenitori delle tesi di Bucharin e di Trotsky).
Dopo la manifestazione operaia del 17 ottobre 1945 contro la destituzione e l'arresto di Juan Domingo Perón, dentro il partito sorsero contrasti sulla linea politica da adottare. Rodolfo Puiggrós propose di trovare accordi con Perón basati sulla difesa degli interessi dei lavoratori e la lotta contro l'imperialismo ma il Partito diretto da Codovilla si schierò su posizioni opposte e nel 1947 espulse Puiggrós, che fondò il Movimento Operaio Comunista e, insieme ad alcuni sindacalisti di formazione marxista, si alleò con il peronismo.
Alle elezioni del 1946 il PCA entrò nella coalizione antiperonista, l'Unione Democratica, che perse poi le elezioni. La sconfitta fu una vera e propria disfatta per il Partito Comunista e per quello Socialista, che non ottennero alcuna rappresentanza nel Congreso Nacional.
Dopo il Golpe del 1955 il PCA criticò la perdita di libertà democratiche e la proscrizione dei partiti. In quel periodo aderì alle tesi del XX Congresso del PCUS e incominciò a teorizzare la possibilità di un transito pacifico al socialismo. Per questo motivo nel 1967 soffrì la sua maggiore scissione organizzata da parte di quasi 4000 iscritti che in larga parte diedero poi vita al Partito Comunista Rivoluzionario.
Il golpe del 1976 e la dittatura militare
Nel 1976 il Partito si dichiarò favorevole al golpe che instaurò la dittatura di una giunta militare e, dopo pochi giorni, di Jorge Rafael Videla[1][2][3][4]. In seguito il PCA non venne colpito dalle leggi che dissolsero alcuni partiti e gruppi di sinistra[5] e, sebbene la dittatura sospese l'attività politica dei partiti a livello nazionale, provinciale e municipale[6] il PCA fu una delle dieci forze politiche cui furono concessi ricevimenti in udienza separata dalle autorità governative. Malgrado ciò una gran quantità di militanti del PCA furono perseguiti, torturati, assassinati e fatti sparire.
In seguito il Partito farà autocritica per l'iniziale appoggio ai militari, sostenendo di aver sovrastimato le contraddizioni interne alle forze armate.
Il viraje
Durante il suo XVI Congresso de 1986, il Partito portò avanti una forte autocritica sulle scelte passate e un rinnovamento dei dirigenti. Il processo, noto come "viraje" ("svolta") determinò un cambio di strategia politica e organizzativa, l'abbandono del "Fronte Democratico Nazionale" e l'inizio del "Fronte di Liberazione Nazionale e Sociale". Si iniziò ad evidenziare la figura del Che e i militanti della Federazione Giovanile Comunista iniziarono a lottare con i movimenti guerriglieri (specialmente in Nicaragua ed El Salvador).