Il marmo rosso di Cottanello, detto anche pietra Cottanellina, pietra persichina e anticamente pietra mischia, è una pietra decorativa che prende il nome dall'omonima località della Sabina occidentale. Veniva estratta infatti dalle cave aperte sul Monte Lacerone[1] a circa 4 km. dal comune di Cottanello, in provincia di Rieti.
Dal 2018 le cave di Cottanello sono annoverate tra i monumenti naturali della regione Lazio[2].
È impropriamente chiamato marmo per il suo bell'aspetto cromatico e le caratteristiche di lucidabilità, ma in realtà è un calcaremarnoso, policromo; i colori prevalenti sono il rosa e il rosso bruno, con venature di calcite bianche, o gialle, o grigie, spesso intrecciate a formare un reticolo. Il materiale cavato presenta notevoli differenze nel colore e nella struttura, come si può notare confrontando colonne, balaustre e rivestimenti vari in esso scolpiti.
Morfologia
Il sedimento che sarebbe diventato il marmo di Cottanello si è depositato sul fondo della Tetide circa 60 milioni di anni fa ed è stato coinvolto nelle fasi tettoniche terziare che hanno portato alla formazione degli Appennini. La sua formazione è riferibile alla formazione della Scaglia rossa, deformata e tettonizzata.
La Scaglia rossa (Luteziano-Cenomaniano) è una formazione appartenente alla serie Umbro-Marchigiana costituita da intercalazioni di calcari detritici, biancastri o rosati, a macroforaminiferi. La potenza della formazione varia dai 100 ai 300 metri[3].
L'elemento tettonico che ha maggiormente determinato la variabilità delle caratteristiche cromatiche e strutturali è la cosiddetta faglia sabina che, tagliando i sedimenti della Scaglia rossa, si estende con continuità per circa 30 km. passando in prossimità di Cottanello[3]. Questa disomogeneità, che spesso ha rappresentato un limite nell'impiego della pietra, dipendeva dalla vicinanza o lontananza dei luoghi estrattivi dal piano di faglia[4].
Storia
La pietra mischia venne scoperta dagli antichi romani già nel I secolo a.C. L'estrazione fu intrapresa a partire dal III secolo d.C.[5], quando tra Cottanello e la frazione di Castiglione, distante circa 2 km. e mezzo, vennero aperte numerose cave.
In epoca romana venne adoperata prevalentemente per crustae[6] e mattonelle[7] in edifici pubblici e ville sparse nel territorio circostante, come la villa romana di Cottanello, ma anche in luoghi più distanti, come la villa di Lucullo a Terracina, in cui sono stati trovati frammenti di pavimentazione riconducibili alla pietra cottanellina[8].
Le cave, in tutto sette[9], rimasero chiuse e abbandonate a lungo; vennero riattivate nel XVII secolo, in età rinascimentale, periodo in cui il litotipo raggiunse il punto massimo del prestigio grazie all'impiego che ne fu fatto in molte chiese del Lazio e dell'Umbria; è infatti uno dei marmi maggiormente presenti nel Barocco romano.
Le colonne di San Pietro in Vaticano
Quando papa Innocenzo X ordinò la decorazione dell'interno della basilica di San Pietro in vista del Giubileo del 1650, Sante Ghetti, uno scalpellino carrarese che aveva conosciuto le cave di Cottanello, presentò alla Congregazione della Reverenda Fabbrica un campione del materiale estratto che incontrò facilmente il gusto dell'epoca; riuscì quindi ad aggiudicarsi il lavoro[10]. Innumerevoli colonne già sommariamente lavorate in cava, venivano trainate da buoi fino a Stimigliano; qui erano caricate su chiatte e trasportate lungo il Tevere fino a Roma[11]. Furono notevoli gli sforzi compiuti per far giungere le colonne fino a Roma, tanto che il Ghetti ebbe il permesso di aprire una nuova strada e di allargare quella esistente proprio per facilitarne il trasporto[10].
Su progetto del Bernini il Ghetti realizzò 24 colonne, diventate poi 46, che furono poste intorno agli altari laterali della basilica[12].
Affitto delle cave
Già dal XVI secolo la cave venivano affittate al miglior offerente per un periodo da 3 a 9 anni, a seguito di asta pubblica. L'asta era preceduta dall'editto del Podestà che estendeva il diritto di partecipazione oltre i confini della Sabina, tanto che spesso erano mercanti romani ad aggiudicarsi la lavorazione delle cave. Il procedimento era denominato "a estinzione di candela", cioè le offerte potevano essere rilanciate fino al momento dello spegnimento naturale della candela accesa all'apertura dell'asta[13].
Le tecniche estrattive utilizzate cambiarono nel corso dei secoli, passando dall'uso del semplice piccone, fino all'esplosivo, al filo elicoidale diamantato, alla tagliatrice a catena dentata e al trapano.
L'ultima cava in attività, saltuariamente, è stata quella in prossimità dell'attuale centro di Castiglione sul monte Sterpeto, chiusa definitivamente verso la fine degli anni settanta del Novecento, perché ritenuta troppo onerosa.
Nei periodi di massima estrazione le cave hanno assicurato benessere alla popolazione locale e notorietà alla zona.
Impieghi
Il marmo rosso di Cottanello si trova nelle seguenti chiese: (elenco non esaustivo)
^abMarmo di Cottanello, su Italithos, Università degli Studi Roma 3. URL consultato il 16 dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 22 dicembre 2015).
^ Gabriele Borghini (a cura di), Marmi antichi, collana Materiali della cultura artistica I - Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Roma, De Luca editori d'arte, 2004, p. 208, ISBN9788880161813.
^ Faustino Corsi, Delle pietre antiche trattato, su books.google.it, Roma, Tipografia Salviucci, 1833, p. 113. URL consultato il 12 dicembre 2015.
^ Biagio Camponeschi e Francesco Nolasco, Le risorse naturali della Regione Lazio. Monti della Laga, Monti Reatini, Monti Sabini, Monti Cicolani e Monti della Duchessa, Roma, Edigraf, 1979.
^ Giuseppe Simonetta, Laura Gigli e Gabriella Marchetti, Sant’Agnese in Agone a piazza Navona, su books.google.it, Gangemi, 2014, p. 107. URL consultato il 20 dicembre 2015.
^ Carmelo Maxia, Sulla posizione stratigrafica del così detto Marmo Cottanello dei dintorni di Castiglione (Sabina), Roma, Tipografia dell'Università degli studi di Roma, 1948, p. 3.
^Piazzetta dei Leoncini, su Comune di Venezia - Live - Le notizie di oggi e i servizi della città, 20 luglio 2021. URL consultato il 22 maggio 2024.
^Raniero Gnoli, Marmora Romana, Roma, Edizioni dell'Elefante, 1988, p. 186.
Faustino Corsi, Delle pietre antiche trattato, su books.google.it, Roma, Tipografia Salviucci, 1833, p. 113. URL consultato il 12 dicembre 2015.
Carmelo Maxia, Sulla posizione stratigrafica del cosiddetto Marmo Cottanello dei dintorni di Castiglione (Sabina), Roma, Tipografia dell'Università degli studi di Roma, 1948.
Mario Pieri, Marmologia, dizionario di marmi e graniti italiani ed esteri: Pietre da costruzione ed ornamento naturali e prodotte dall'industria, merceologia, mineralogia, geologia dei materiali litoidi e loro cave, Milano, U. Hoepli, 1966.
Biagio Camponeschi e Francesco Nolasco, Le risorse naturali della Regione Lazio. Monti della Laga, Monti Reatini, Monti Sabini, Monti Cicolani e Monti della Duchessa, Roma, Edigraf, 1979, Vol. 5.
Renato Funiciello e Massimo Mattei, Le rocce di faglia nel Barocco romano (PDF), in Le Scienze, Milano, 1991, pp. 38-45. URL consultato il 15 dicembre 2015.
Gabriele Borghini (a cura di), Marmi antichi, collana Materiali della cultura artistica I - Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Roma, De Luca editori d'arte, 2004, p. 208, ISBN9788880161813.
Antonella Sciarpelletti, Un esempio di impiego del Cottanello nella Roma del XVII Secolo: la Basilica di San Pietro. 2006
Antonio Di Pace, Un esempio di contributo della litologia alla cultura ambientale: la via del Cottanello dal sito di estrazione a Roma e i suoi dintorni. 2006
Chiara Lo Re, L'applicazione del marmo cottanello nelle chiese di Roma mediante schede tecniche architettoniche e modellazioni bidimensionali. 2008