Ha lavorato per la rivista Garo dove debuttò sul numero 300 del 1989 con le storie brevi Kujira (くじら?), Umiushi (ウミウシ?), Tane (タネ?) e Fukura hagi (ふくらはぎ?)[1]. Le sue opere rientrano nella tradizione del manga alternativo, onirico e gekiga: genere introdotto, tra gli altri, dal mangaka Yoshiharu Tsuge, che ne fu uno dei maggiori esponenti alla fine degli anni sessanta, la lettura della sua opera, particolarmente di Nejishiki (ねじ式?) del 1968, lo colpì profondamente da spingerlo a diventare anche lui mangaka. Il suo stile si forma anche nel solco della corrente Heta-uma[2], costruita sul rifiuto delle convenzioni stabilite, sia di stile che di contenuto, e ribelle all’estetica cristallizzata della cultura giapponese[3].
(EN)
«Japan has been traumatised by disasters throughout its history: war, nuclear, earthquakes. Consumer society wants to make us forget them, but many of these artists are expressing through their work this deep trauma»
(IT)
«Il Giappone è stato traumatizzato da catastrofi nel corso della sua storia: guerre, nucleare, terremoti. La società consumistica vuole farci dimenticare, ma molti di questi artisti esprimono attraverso il loro lavoro questo profondo trauma»
(Imiri Sakabashira dichiarazione raccolta da Paul Gravett in Heta-uma & Mangaro)
In questo calderone di sperimentazione variegata, Sakabashira trova una sua personale collocazione e peculiarità. Le sue opere sono caratterizzate da narrazioni illogiche, incoerenti, raccontate in ambientazioni architettoniche e tecnologiche pre-boom economico, e popolate da fantasie tratte dall'immaginario yōkai (妖怪? lett."spettri o demoni"), kaijū (怪獣? lett."mostri misteriosi") , kaijin (怪人? lett."mostri umanoidi") e daikaijū (大怪獣? lett."mostri giganti")[3][4] che appaiono ispirati dal lavoro di Eiji Tsuburaya[5], graficamente ricche di particolari e con lunghe sequenze visive[2].