Historiarum libri quinque
È un’opera appartenente al genere storico, anche se l'autore Rodolfo il Glabro è molto più interessato ai segni, ai prodigi piuttosto che alle date[1] ed è proprio in questo che risiede il grande valore del testo: offre un quadro sociale dell’epoca più che una precisa cronologia[2].
Il titolo non è quello originario, ma è stato assegnato all’opera dal primo editore, Pierre Pithou, nel 1596[3].
Composizione
Come fa notare Guglielmo Cavallo[4], grazie al manoscritto Paris, lat. 10912 e al contenuto del testo, si ha la fortuna di poter ipotizzare i luoghi e il periodo di composizione dell’opera, nonostante non ci sia concordia sulla ricostruzione.
Il periodo in cui Rodolfo scrive l’opera è molto lungo. Inizia la redazione a Digione, come si può ipotizzare a partire da due elementi: un passo dell’altra sua opera, Vita Willelmi, dove l’autore si riferisce alle Historiae come ad un lavoro già iniziato[5]; e la considerazione che il periodo passato a Cluny sia stato troppo breve per aver potuto cominciare l’opera[6]. Non tutti concordano con questa datazione: si è anche affermato che la redazione del testo sarebbe stata iniziato a Cluny e non a Digione, basandosi su quanto afferma Rodolfo nella lettera dedicatoria e cioè che proprio Odilone, abate di Cluny, gli avrebbe fatto redigere le Historiae[7].
Sono un’opera che rimane, si potrebbe dire, incompiuta, che si conclude all’improvviso: lo testimonia il fatto che alla fine del libro quinto non ci sia alcun segno che farebbe pensare ad una qualche conclusione[8]. Significa inoltre che Rodolfo vi lavorò fino a poco prima della morte[9].
È importante segnalare, fin da subito, il fatto che, anche se l’opera a noi giunta è composta da cinque libri, Rodolfo originariamente ne scrisse solo quattro per aggiungerne in seguito un quinto che racconta il periodo dal 1043 al 1046[10]: questo particolare si desume da elementi interni al manoscritto Paris, lat. 10912[11]. Infatti, l’ultima parte del manoscritto contenente il libro quinto mostra chiaramente di essere un’aggiunta: lo si ipotizza a partire sia dal tipo di scrittura, che è diversa rispetto al resto scritto da monaci-amanuensi, sia dal tipo di materiale (di scarsa qualità) con cui quest’ultima parte è stata realizzata[12].
Al contrario, si è anche pensato che, in realtà, Rodolfo volesse inizialmente scrivere solo tre libri a cui, in seguito, avrebbe aggiunto il quarto e il quinto[13].
Come già osservato, si può seguire in linee generali la composizione dei vari libri, nonostante le diverse ipotesi. Al di là dell’inizio, della conclusione della redazione (rispettivamente a Digione e a Saint-Germain d’Auxerre) e della revisione del primo libro svolta ad Auxerre, ciò su cui gli studiosi non concordano riguarda la realizzazione del terzo libro avvenuta, inizialmente, a Digione e poi conclusa a Cluny oppure terminata ad Auxerre (forse iniziata prima) ma dopo aver raccolto materiale a Cluny[14].
Contenuto
L’opera è dedicata a Odilone abate di Cluny[15], nonostante sia stata redatta su consiglio di Guglielmo da Volpiano, come ci racconta Rodolfo stesso nella Vita Willelmi[16].
L’autore narra gli eventi compresi dal periodo dell’anno 900 («data d’inizio […] meramente convenzionale»[17]) fino a quello a lui contemporaneo, con una particolare attenzione, come si è accennato, ai segni, ai prodigi[18]: sono avvenimenti di cui lui stesso è stato testimone oculare (e più volte lo sottolinea) oppure che derivano da fonti attendibili, che a volte nomina[19].
Rodolfo afferma, nell’epistola dedicatoria, di assumere come punti di riferimento due sovrani, Enrico II imperatore del Sacro Romano Impero e Roberto II il Pio re di Francia[20], e parla, in modo caotico, della storia dell’Occidente e dei suoi rapporti con Bisanzio, l’Islam e i paesi slavi[21]: ha «una visione storiografica […] quasi universalistica» mettendo da parte «la storia di carattere locale o nazionale»[22]. Vuole «narrare i fatti avvenuti nelle quattro regioni del mondo terreno»[23] riallacciandosi a Beda e Paolo Diacono, dopo i quali non ci sarebbe stato, secondo l’autore, nessun altro storico degno di menzione[24]. Nonostante questo progetto, per lo più la sua opera si lega alla realtà geostorica in cui Rodolfo stesso è attivo[25].
Soprattutto nel secondo libro e non solo[26], le Historiae pullulano di segni, prodigi di qualsiasi tipo (eclissi di sole, la comparsa di una balena, …[27]), caratteristica che in passato non le ha fatte apprezzare, ma che invece deve essere considerata una grande peculiarità rendendole anche una fonte per la mentalità del periodo intorno all’anno Mille[28]. Le Historiae considerano quell’anno, inteso da Rodolfo in relazione all’incarnazione e alla passione di Cristo, il proprio fulcro[29].
I segni di cui si è parlato sono visti da Rodolfo come quelli dell’arrivo dell’«ultima età del mondo»[30], anche se John France afferma che gli anni millenari non «presagiscono la fine del mondo, benché egli [Rodolfo] sa di vivere nell’ultima età prima della fine»[31]: secondo entrambe le interpretazioni, però, l’autore mostra che Dio sta concedendo all’uomo di salvarsi, anche attraverso il male[32] che, inoltre, pervade le Historiae[33]. Si potrebbe anche dire che Rodolfo è un’importante testimonianza del Millenarismo sia in quanto portavoce delle ansie del popolo sia in quanto rappresentante di «un atteggiamento di maggiore prudenza», influenzato da Guglielmo da Volpiano[34].
Importante, anche in relazione al secolo X, ricordare nuovamente il fatto che nel V libro Rodolfo parli di sé, elemento che è considerato una peculiarità di questo secolo e che è una «forma di autorappresentazione dell’autore stesso»[35].
Tradizione manoscritta
L’opera è giunta attraverso quattro manoscritti. Di seguito si dà una breve descrizione di ognuno di essi, con particolare attenzione all’idiografo P[36].
È il manoscritto più importante per antichità e soprattutto perché è anche idiografo, nonostante gli studiosi non siano concordi su quali parti ritenere vergate da Rodolfo[38]. Tutti riconoscono, però, il fatto che il manoscritto rappresenti un rimaneggiamento del libro I[39] a cui l’autore, in un secondo momento, avrebbe aggiunto, secondo una delle ricostruzioni riguardanti la composizione[40], la dedica a Odilone, in seguito ad una iniziale a Guglielmo da Volpiano[41].
Cavallo attribuisce solo il fascicolo con i ff. 47-55, contenenti il libro quinto, a Rodolfo: il resto del manoscritto, almeno la parte originale, è vergata da altre quattro mani del secolo XI (a, b, c, d)[42]. A differenza dello studioso italiano, Monique-Cécile Garand, cambiando posizione rispetto a quanto affermato in un suo precedente studio[43], ha continuato ad essere convinta che i ff. 24-29 e 47-55 sono attribuibili a Rodolfo[44], oltre alle correzioni da lui stesso apportate[45]; nel caso del secondo gruppo, la studiosa parla di invecchiamento dell’autore[46], benché Cavallo attribuisca questo fenomeno solo al f. 55[47]. France, invece, ritiene l’ipotesi di Garand riguardo l’invecchiamento «interessante, ma inconcludente»[48].
Il manoscritto 10912, come già accennato, è mutilo in alcune parti ed è stato restaurato da Antoine Loisel, amico di Pithou, usando proprio il manoscritto di quest’ultimo, il manoscritto Paris, lat. 6190[49].
È il manoscritto più vicino a P e quindi all’autore. La parentela è talmente stretta che gli studiosi ipotizzano esserci stato un manoscritto intermedio tra i due[52], per cui A è un discendente di P[53]. Gli stessi proprietari dei due manoscritti, rispettivamente Loisel e Pithou, hanno usato il manoscritto l’uno dell’altro per restaurare il proprio[54].
È una trascrizione di P prima del guasto di quest’ultimo (f. 55)[57].
Bisogna ricordare che questo manoscritto, pur tardo rispetto ai precedenti, servì a Pithou per completare il suo (A) in relazione a quelle parti (le ultime righe dell’ultimo foglio) che erano mancanti sia in P sia in A[58]: quindi, in questo caso, V è di fondamentale importanza per il testo delle Historiae in quanto unico testimone di queste sezioni[59].
È copia tarda di P quando quest’ultimo era già guasto e prima del restauro di Loisel[61]: secondo Garand, sarebbe stato realizzato prima del 1579[62].
Note
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno mille (Storie), Milano 1989, p. XXXIX; «gli storici che hanno voluto (o volessero) utilizzare l’opera di Rodolfo per una ricostruzione del passato in termini di fatti, circostanze, nomi, luoghi e tempi precisi sono restati (o potrebbero restare) profondamente delusi» (ivi, p. XXXII); per l’interesse verso i segni, cfr. ivi, pp. XLI-XLIV; per la cronologia, cfr. anche N. Bulst (ed.) –J. France (ed. trans.) –P. Reynolds (trans.), Rodulfi Glabri Historiarum libri quinque. Rodulfus Glaber The Five Books of the Histories. Eiusdem auctoris Vita domni Willelmi abbatis. By the Same Author The Life of St William, Oxford 1989, p. LXVI-LXVIII.
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XXXIV; cfr. anche P. Stoppacci, Il secolo senza nome. Cultura, scuola e letteratura latina dell’anno mille e dintorni, Firenze 2020, p. 326 e, per il genere dell’opera, p. 201 oltre a Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XXVIII-XXX.
- ^ Cfr. ivi, pp. XXIII-XXIV; quella di Pithou (Historiae Francorum ab anno Christi DCCCC ad ann. MCCLXXXV scriptores veteres XI) è l’editio princeps (cfr. S. Simone, Radulphus Glaber, in La trasmissione dei testi latini del medioevo. Mediaeval Latin texts and their transmission. Te.Tra., 4, a cura di P. Chiesa-L. Castaldi, Firenze 2012, pp. 227-250, alla p. 448); gli altri titoli con cui l’opera è conosciuta sono: Historiarum libri, Historiae (cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XXIII).
- ^ Cfr. ivi, cit., p. XVIII.
- ^ Per il passo della Vita Willelmi, cfr. G. M. Capuani-D. Tuniz, Rodolfo il Glabro. Vita di Guglielmo protagonista dell’anno mille, Novara 1989, p. 66; per la datazione inerente alla composizione dei libri, cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XIX-XXVIII che, in relazione all’inizio dell’opera, parla degli anni Venti dell’XI secolo a differenza di Stoppacci che indica gli anni tra 1015 e 1047 come periodo di realizzazione (cfr. Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 326).
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XXIV.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur de Raoul Glaber? Observations codicologique et paléographiques sur le manuscrit Paris, B.N., Latin 10912, «Scriptorium» 37 n°1 (1983), pp. 5-28, alle pp. 21-23 e 26; per la lettera dedicatoria, cfr. Rod. Glab., Hist. lib. quinque I, 1 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 6-9); questa tesi è contestata da Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XIX con relativa nota 2 e la stessa Garand cambia idea in base alle considerazioni di Cavallo (cfr. M.-C. Garand, Deux éditions nouvelles de «Historiae» de Raoul Glaber, «Scriptorium» 45 n°1 (1991), pp. 116-122, alla p. 121).
- ^ Cfr. Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. XXX-XXXI che cita anche il lavoro di Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 5-28, alla p. 25; per il libro V, cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XXV-XXVII.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 24-25.
- ^ Per il periodo presente nel quinto libro, cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XXVI; per la continuazione dell’opera, cfr. quanto si dice ivi, pp. XXV-XXVII.
- ^ Per il manoscritto, cfr. la sezione Tradizione manoscritta delle Historiarum libri quinque.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., p.17 e 21; cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabrocit., pp. XXV-XXVI.
- ^ Cfr. Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. XXXV-XXXVI.
- ^ Per la prima ipotesi, cfr. ivi, pp. XLI-XLII e XLV; per la seconda, cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XX e XXIV; per una simile posizione, cfr. Simone, Radulphus Glaber cit., p. 448; per la sintesi delle prime due posizioni, cfr. Garand, Deux éditions cit., p. 117; Stoppacci riporterebbe, in maniera schematica, la realizzazione del terzo libro direttamente a Cluny ed una sua revisione ad Auxerre: cfr. Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 326.
- ^ Cfr. Rod. Glab., Hist. lib. quinque, I (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 6-9).
- ^ Cfr. Capuani-Tuniz, Rodolfo il Glabro. Vita cit., p. 66; cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XIII.
- ^ Ivi, p. XXXVI.
- ^ Cfr. Rod. Glab., Hist. lib. quinque I, 4 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 14-15).
- ^ Cfr. ibidem, I. 4; cfr. anche Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. LII-LIII.
- ^ Cfr. Rod. Glab., Hist. lib. quinque I, 1 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 8-9); cfr. anche Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 326.
- ^ Cfr. ivi, pp. 326-327; per Bisanzio, cfr., ad esempio, Rod. Glab., Hist. lib. quinque IV, 2-4 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 196-203); per l’interesse di Rodolfo nei confronti dell’Islam, cfr. Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. LIII-LIV e LXIV-LXV.
- ^ Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 326.
- ^ Rod. Glab., Hist. lib. quinque I, 1 (ed. Cavallo-Orlandi, p. 9).
- ^ I due autori sono citati come «autori di storie del loro popolo e del loro paese» in Rod. Glab., Hist. lib. quinque I, 1 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 6-7) dove Rodolfo si lamenta che dopo questi non ci fu nessuno all’altezza di realizzare un’opera storica.
- ^ Considerazione in Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XXXVII, confrontando la decisione di Rodolfo rispetto alle figure di Beda e Paolo Diacono; cfr. Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. XXXVII-XXXVIII); per la sua prospettiva, cfr. ivi, p. LVII.
- ^ Cfr. ivi, pp. XXXIX-XL e XLVI.
- ^ Per l’eclissi di sole, cfr. Rod. Glab., Hist. lib. quinque IV, 24-26 e V, 20 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 240-245 e 298-281); per la comparsa di una balena, cfr. ivi, II. 2-3 (ed. Cavallo-Orlandi, pp. 58-65) con richiamo alla Navigatio sancti Brendani, nonostante le differenze (cfr. nota 17, pp. 310-311 in Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro).
- ^ Cfr. Bertini, Il secolo XI cit., p. 186 che ricorda il giudizio positivo di Duby (cfr. G. Duby, L’anno Mille, Torino 1976, p. 13); per il valore dell’opera, cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XXXIV-XLIX, e Stoppacci, Il secolo senza nome cit., pp. 327-328; per uno sguardo d’insieme alle Historiae, in relazione anche alla Vita, cfr. Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera, cit., pp. LXVIII-LXX.
- ^ Cfr. ivi, p. XXXIV.
- ^ Cfr. P. Chiesa, La letteratura latina del medioevo. Un profilo storico, Roma 2018, p. 223; per una simile posizione, cfr. anche Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 377.
- ^ Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., p. LXIV.
- ^ È definito «necessario» da Cavallo (Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XLVI).
- ^ Cfr. Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 327.
- ^ Ivi, pp. 328 e 377.
- ^ Ivi, p. XXIII.
- ^ Per segnalare i testimoni manoscritti delle Historiarum libri quinque si usano le sigle riportate in Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. LIX-LXIV e le notizie sono riprese anche da Mirabile; le sigle non concordano con quelle utilizzate da France in Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. LXXXII-XCIV.
- ^ Cfr. Simone, Radulphus Glaber cit., p. 447.
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XVIII-XIX, LIX-LXI, LXIV-LXV che lo definisce idiografo, a differenza di quanto viene segnalato da Stoppacci (cfr. Stoppacci, Il secolo senza nome cit., p. 117) come «parzialmente autografo»; lo stesso France definisce «i vecchi fogli di A [=P], almeno in parte, molto probabilmente autografi» (Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., p. LXXXIX).
- ^ Sia Cavallo (cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XX-XXI e XXIII) sia Garand (cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 5-28, 22 e 26-27) sono concordi in ciò.
- ^ Ricostruzione che vedrebbe l’inizio della stesura non a Cluny, ma a Digione presso Guglielmo.
- ^ L’ipotesi è presente in Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. XIX e XXIII-XXIV dove la dedica a Odilone è definita «ultimo atto», dopo aver concluso il quarto libro.
- ^ Cfr. ivi, p. LX.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 5-28 dove riteneva che tutto il manoscritto fosse da attribuire all’autore, a eccezione dei ff. 1-9 e 32-39 che sarebbero stati vergati da una mano diversa che la studiosa chiama A; mentre B, che altri non è che Rodolfo stesso, avrebbe scritto tutto il resto del manoscritto (cfr. la sintesi delle sue considerazioni in Garand, Deux éditions nouvelles cit., pp. 118-119).
- ^ Cfr. ivi, cit., pp. 119-121; mentre i ff. 10-17 sono attribuiti dalla stessa studiosa ad uno o due scribi, a differenza di quanto era convinta precedentemente (cfr. ivi, p. 121).
- ^ In questo caso Garand (cfr. ivi, p. 119) si richiama all’edizione italiana (Rod. Glab., Hist. lib. quinque, ed. Cavallo-Orlandi).
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., p. 11; cfr. anche Garand, Deux éditions nouvelles cit., p. 118.
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. XXV.
- ^ Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., p. LXXXIV.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 5-8; cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. LIX e LXIV-LXV
- ^ È la datazione presente in Mirabile.
- ^ Questa diversa datazione è offerta da Simone (cfr. Simone, Radulphus Glaber cit., p. 449) e ricordata da Garand (cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., p. 5 che riporta le considerazioni di altri studiosi).
- ^ Cfr. ivi, cit., p. 8 che parla di più di un secolo di lontananza tra i due manoscritti; cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. LXV.
- ^ È definito così in Simone, Radulphus Glaber cit., p. 449.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 6-7; cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. LIX e LXIV; cfr. Simone, Radulphus Glaber cit., p. 449.
- ^ Datazione presente in Mirabile e in Simone, Radulphus Glaber cit., p. 447.
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. LXIII che segnala questa datazione solo per la prima parte del manoscritto: i ff. 1-93 contenenti l’opera di Rodolfo e i ff. 94-104 che sono vacui; la seconda parte (ff. 105-146), aggiunta successivamente, è risalente agli inizi del XVI secolo (cfr. ivi, pp. LXII-LXIII).
- ^ Per le ragioni che portano Cavallo ad affermare questa parentela dei manoscritti, cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. LXV-LXVI; cfr. anche Bulst-France-Reynolds, Rodulfi Glabri opera cit., pp. XCI-XCII che definisce D (il nostro V) molto probabilmente copia di A (il nostro P).
- ^ Cfr. Simone, Radulphus Glaber cit., p. 449; cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. LXI, LXIII e LXV-LXVI.
- ^ Cfr. ibidem, pp. LXV-LXVI.
- ^ Datazione presente in Mirabile; Simone segnala la seconda metà del XVI (cfr. Simone, Radulphus Glaber cit., p. 447).
- ^ Cfr. Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., p. LXV.
- ^ Cfr. Garand, Un manuscrit d’auteur cit., pp. 27-28; cfr. anche Cavallo-Orlandi, Rodolfo il Glabro cit., pp. LXIV; cfr. anche Bulst-France-Reynold, Rodulfi Glabri opera cit., p. LXXXVIII e nota 4 dove ricorda l’ipotesi di Garand.
Bibliografia
Edizioni e traduzioni
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Studi
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Voci correlate
Collegamenti esterni
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