Il Consiglio autonomo dell'Hebei orientale (cinese: 冀東防共自治政府; pinyin: Jìdōng Fánggòng Zìzhì Zhèngfǔ),[1] noto anche come Consiglio autonomo del Ji orientale e come Consiglio autonomo anticomunista dell'Hebei orientale, fu uno stato di breve durata situato nella Cina settentrionale degli anni '30. È stato descritto dagli storici come uno stato fantocciogiapponese o come uno stato cuscinetto.
Il 15 novembre1935, l'amministratore locale cinese delle 22 contee della provincia dell'Hopei, Yin Ju-keng, proclamò che i territori sotto il suo controllo erano autonomi. Dieci giorni dopo, il 25 novembre, proclamò che i territori sotto il suo controllo erano indipendenti dalla Repubblica di Cina e come nuova capitale venne proclamata la città di Tongzhou. Il nuovo governo firmò immediatamente trattati economici e militari con il Giappone. Il Corpo per la Conservazione della Pace nella Zona Demilitarizzata che era stato creato in seguito all'armistizio di Tanggu fu sciolto e riorganizzato come Esercito dell'Hebei orientale supportato militarmente dal Giappone. L'obiettivo del Giappone era di stabilire una zona cuscinetto tra il Manciukuò e la Cina, ma il regime collaborazionista filo-giapponese che si era venuto a creare era visto dal governo cinese come un affronto e violazione dell'armistizio di Tanggu.
Il Consiglio autonomo dell'Hebei orientale era governato da Yin Rugeng. L'Hebei orientale proteggeva gli interessi economici del Giappone vietando l'esportazione di argento e la circolazione delle banconote della Banca cinese centrale. Venne istituita anche una banca centrale e che iniziò a emettere banconote che furono sostenute da diverse banche, e furono ampiamente diffuse a Tientsin, contro gli ordini del governo centrale cinese.
Nel luglio del 1936 scoppiò una rivolta contadina nel distretto di Miyun a sfavore del Consiglio autonomo orientale dell'Hebei. Guidati da un anziano prete taoista, i ribelli furono organizzati dalla Società della sabbia gialla e riuscirono a sconfiggere un'unità dell'armata dell'Hopei orientale che fu inviata per sopprimere la rivolta.[2] Successivamente, l'Esercito Imperiale Giapponese si mobilitò per sedare la rivolta, sconfiggendo i ribelli contadini entro settembre. Circa 300 ribelli della Società della sabbia gialla vennero uccisi o feriti nei combattimenti.[3]
Morning Tribune Staff (30 July 1936). "Yellow Sand Cult to be suppressed by Japanese". Morning Tribune. 1 (154). Peiping. p. 9. Retrieved 3 May 2018
The China Monthly Review Staff (20 August 1936). ""Yellow Sand" Society Suppressed by Japanese in Demilitarized Zone". The China Monthly Review. 77. Custom House, Shanghai. p. 473.