I Commoni o Cenomani o Secoani o Cenobrigi o Segobrigi sono un popolo antico di stirpe ligure abitante la Provenza.
Tolomeo descrive la regione dei Commoni da Marsiglia[1] a Fréjus. Da un passaggio di Catone Uticense[2] sembrerebbe che i Commoni di Tolomeo siano i Cenomani di Belloveso di cui una parte, discendendo in Gallia cisalpina, si siano fermati e stabiliti nei dintorni di Marsiglia, ma questo pare essere un errore di trascrizione delle fonti antiche, essendo i Cenomani di Provenza di stirpe ligure.
Tolomeo li cita come Κομμονοὶ Commoni, Plinio come Cenomani, Stefano di Bisanzio come Σηχοανοι Secoani[3], Marco Giuniano Giustino come Segobrigii[4]. Se man e brigus significano "uomo", "tribù", "popolo", cœnus, "fango" sta a indicare le paludi che in effetti si trovavano tra Rodano e la città di Marsiglia.
Stefano di Bisanzio menziona i Secoani come abitanti vicino al fiume Secoanos, ed è noto anche un fiume Coenus a Ovest di Marsiglia, oggetto dei lavori militari di Mario. Si suppone che Giustino sia incappato in un errore di trascrizione, deformando Cenobrigi in Segobrigi[5] da Secoani, considerando il celtico *sego, "forte" e tralasciando che si tratta di un popolo ligure.
Quando i Focei arrivano per fondare la città, il territorio era tutto nelle mani dei Cenomani, il cui re, Nanno, mandò suo figlio Comano a combattere contro i greci. In seguito alla vittoria dei focesi, i Commoni vennero divisi in due parti: fino al Rodano le tribù occidentali, di cui parla Plinio, e fino a Frejus le tribù orientali, ai quali Polibio si riferisce come Αναμαροὶ Anamari o Anamani[6]. Anche in questo caso vi è probabilmente un errore di trascrizione delle fonti antiche, poiché la vicenda degli Anamari raccontata da Polibio è ambientata nella Gallia Cisalpina, con un vago accenno a Marsiglia (forse Piacenza?[7]).
La fondazione secondo Giustino
(LA)
«Duces classis Simos et Protis fuere. Itaque regem Segobrigiorum, Nannum nomine, in cuius finibus urbem condere gestiebant, amicitiam petentes conveniunt. Forte eo die rex occupatus in apparatu nuptiarum Gyptis filiae erat, quam more gentis electo inter epulas genero nuptum tradere illic parabat. Itaque cum ad nuptias invitati omnes proci essent, rogantur etiam Graeci hospites ad convivium. Introducta deinde virgo cum iuberetur a patre aquam porrigere ei, quem virum eligeret, tunc omissis omnibus ad Graecos conversa aquam Proti porrigit, qui factus ex hospite gener locum condendae urbis a socero accepit.»
(IT)
«I comandanti della flotta erano Simos e Protis. Così incontrarono per chiederne l'amicizia il re dei Segobrigi, di nome Nanno, nel territorio del quale desideravano fondare la città. Per caso quel giorno il re era occupato nei preparativi delle nozze della figlia Gyptis, il quale, secondo le usanze locali, si preparava a dare in matrimonio al genero scelto durante il banchetto. Così, essendo stati invitati alle nozze tutti i pretendenti, anche i Greci furono richiesti come ospiti al convivio. Introdotta quindi la vergine, avendo ricevuto l'ordine dal padre di offrire dell'acqua a quello che aveva scelto come marito, allora trascurati tutti si volse ai Greci e offrì l'acqua a Protis che, da ospite divenuto genero, ricevette dal suocero un luogo su cui fondare la città.»
(Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi Libri XLIV, 43, 3, 8-11)
Le relazioni rimasero amichevoli fino alla morte di Nanno.
(LA)
«Mortuo rege Nanno Segobrigiorum, a quo locus acceptus condendae urbis fuerat, cum regno filius eius Comanus successisset, adfirmante quodam regulo, quandoque Massiliam exitio finitimis populis futuram, opprimendamque in ipso ortu, ne mox validior ipsum obrueret. Subnectit et illam fabulam: canem aliquando partu gravidam locum a pastore precario petisse, in quo pareret, quo obtento iterato petisse, ut sibi educare eodem in loco catulos liceret; ad postremum adultis catulis fultam domestico praesidio proprietatem loci sibi vindicasse. Non aliter Massilienses, qui nunc inquilini videantur, dominos quandoque regionum futuros. His incitatus rex insidias Massiliensibus struit. Itaque sollemni Floraliorum die multos fortes ac strenuos viros hospitii iure in urbem misit, plures sirpeis latentes frondibusque supertectos induci vehiculis iubet, ipse cum exercitu in proximis montibus delitescit, ut, cum nocte a praedictis apertae portae forent, tempestive ad insidias adesset urbemque somno ac vino sepultam armatis invaderet. Sed has insidias mulier quaedam regis cognata prodidit, quae adulterare cum Graeco adulescente adsolita in amplexu iuvenis miserata formae eius insidias aperuit periculumque declinare iubet. Ille rem statim ad magistratus defert; atque ita patefactis insidiis cuncti Ligures comprehenduntur latentesque de sirpeis protrahuntur. Quibus omnibus interfectis insidianti regi insidiae tenduntur. Caesa cum ipso rege hostium septem milia.»
(IT)
«Morto il re Nanno dei Segobrigi, dal quale fu ricevuto il luogo su cui fondare la città, essendo succeduto nel regno suo figlio Comano, il principotto afferma che un giorno Massilia sarà la rovina dei popoli confinanti, e che bisognava sopprimerla alla sua nascita, affinché divenuta più potente non abbattesse poi lui stesso. Aggiunse anche questa favola: una cagna un giorno, gravida per il parto, chiese supplicando ad un pastore un luogo dove sistemarsi. Ottenutolo, lo supplicò nuovamente affinché potesse allevare i cagnolini in quel luogo. Infine, diventati adulti, seduta sul presidio domestico reclamò per sé la proprietà del luogo. Non diversamente i Massiliesi, che ora sembravano inquilini, un giorno sarebbero divenuti padroni. Incitato da questo, il re preparò un'insidia ai Massiliesi. E così nel giorno solenne della festa di Flora, inviò nella città molti uomini forti e valorosi sotto vincolo di ospitalità. Ordinò che parecchi, nascosti sotto giunchi e fronde, fossero introdotti con i carri. Egli si nascose con l'esercito sui monti vicini affinché, dopo che i predetti avessero aperto le porte di notte, tempestivamente scattasse l'insidia e la città, immersa nel sonno e nel vino, fosse invasa dagli armati. Ma una donna parente del re svelò questa insidia che, solita ad unirsi con un giovane greco, nell'abbraccio del giovane avendo pietà della sua bellezza, gli rivelò l'insidia e lo invitò ad evitare il pericolo. Egli riferì immediatamente la cosa ai magistrati. E così, svelata l'insidia, tutti insieme i Liguri furono catturati e quelli nascosti sotto i tirati fuori. Uccisili tutti, al re insidiante fu tesa una trappola. Morirono insieme allo stesso re 7.000 nemici.»
(Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi Libri XLIV, 43, 4, 3-10)