Come fare l'Europa

Carlo Sforza (1872-1952)

"Come fare l’Europa" è il nome attribuito a un discorso pronunciato a Perugia, il 18 luglio 1948, dal Ministro degli esteri italiano Carlo Sforza, in qualità di rettore dell'Università per stranieri, nel quale l’uomo politico si dichiarò favorevole all'idea di un'Europa federale, da attuarsi per gradi, con la Germania in piano di parità con gli altri Stati[1].

Presupposti

Carlo Sforza proveniva dalla carriera diplomatica, dalla quale si era dimesso con l’avvento del fascismo. Le sue posizioni politiche si erano formate allo scoppio della prima guerra mondiale, quando si collocò nelle file dell'interventismo democratico[2]. La sua visione della guerra era conforme a quella mazziniana e risorgimentale, secondo cui il risveglio delle nazionalità oppresse avrebbe ineluttabilmente portato alla dissoluzione dell'Impero austro-ungarico[3]. Per Sforza, tuttavia, le nazionalità avrebbero dovuto creare un ordinamento federativo europeo ancor più stretto della mazziniana Giovine Europa del 1834[4].

Nel 1919 fu nominato per la prima volta Ministro degli Esteri nel Governo Giolitti V. Costretto a emigrare in Francia per le persecuzioni del regime fascista (1927), rafforzò le proprie convinzioni sulla necessità dell'integrazione europea. Nel 1929 il Presidente del Consiglio francese Aristide Briand presentò una proposta di Stati Uniti d'Europa. In una conferenza sul tema alla Fondazione Universitaria di Bruxelles, Sforza si dichiarò favorevole all'eliminazione delle dogane e propose la libera disponibilità delle materie prime e la libera circolazione dei lavoratori all’interno della futura Unione. Nel libro The Makers of Modern Europe (1930) - che in Italia verrà tradotto col titolo di Costruttori e Distruttori - prese però in esame il fallimento della proposta Briand. Questi: «Non aveva abbastanza diffidato delle parole e delle formule che fatalmente erano intorno a lui messe in circolazione. La frase "Stati Uniti d'Europa" è un ostacolo all'idea. L'organizzazione dell'Europa appartiene a quel genere di avvenimenti la cui realizzazione embrionale deve precedere la enunciazione»[5].

Con l’invasione nazista della Francia, Sforza si trasferì negli Stati Uniti d’America. Intervenne ai lavori del Congresso italo-americano, che si tenne dal 14 al 17 agosto 1942, a Montevideo[6], presentando un programma in otto punti, che fu approvato dagli oltre 10.000 presenti[7]. Esso comprendeva, tra l’altro, l'adesione dell'Italia a un sistema organizzato di cooperazione e solidarietà internazionale:

«Gli italiani coopereranno con coraggio e serenità alla soluzione di ogni problema internazionale che li concerne, ma ad una sola condizione: che non si discutano problemi italiani come tali, ma si discutano lati italiani di problemi europei. Nell'Europa di domani, le nazionalità dovranno rimanere come viventi faci di arte e di pensiero; ma non dovranno mai più divenire ragione o pretesto per aggressioni. Italiano, io non dimentico mai che il nostro immortale Mazzini scrisse: "Io amo il mio paese perché amo tutti i paesi"[8]»

Sforza ebbe la grande occasione di concretizzare i suoi ideali sovranazionali quando fu nominato per la seconda volta Ministro degli Esteri da Alcide De Gasperi che condivideva il suo europeismo. Durante la conferenza europea per l’accettazione del Piano Marshall, tenuta Parigi dal 12 luglio 1947, Sforza prese la parola due volte e, in entrambi i casi, dette al suo discorso un taglio eminentemente europeista[9]. Nei mesi immediatamente precedenti al suo intervento all’Università di Perugia aveva presentato una proposta di Unione doganale italo-francese. Nelle sue intenzioni, tale Unione doganale doveva essere il primo embrione di una federazione europea, stante il perdurare dell’occupazione della Germania, da parte delle quattro potenze vincitrici e la salita al potere dei laburisti nel Regno Unito, contrari all’integrazione europea. Le riunioni bilaterali italo-francesi, peraltro, non sembravano giungere a risultati concreti.

Passi principali del discorso

Palazzo Gallenga Stuart di Perugia, la sede dell'ateneo ove fu pronunciato il discorso.

In apertura del discorso, Sforza si ritiene lieto di poter parlare di fronte a un consesso culturale e non nelle stanze politiche di Palazzo Madama o di Montecitorio. Di fronte ai presenti, infatti, può esprimere liberamente il proprio pensiero senza vincoli o preoccupazioni di natura politica. Entra poi nel merito ritenendo imminente il sorgere dell'Unione europea.

«Che l’Europa unita, organizzata, sia per sorgere ce lo dicono i dolori, le sofferenze, i disastri in mezzo a cui noi europei viviamo da quando fu rotto il comodo mediocre edificio che andò dal Trattato di Vienna al 1914. Bisogna rassegnarsi; le grandi svolte, le inattese risoluzioni nascono dalle sofferenze, non dal benessere; è il dolore che insegna e rivela agli umani la via della salvezza e della elevazione; l’ordine vario e fecondo, le intese ove prima eran aridi sospetti sono una fine, non un inizio.[1]»

Proseguendo, l’oratore esprime il concetto che il progressivo emanciparsi degli Stati Uniti dal tradizionale modo di vivere europeo, costringe gli europei stessi a considerarsi figli di una patria comune. Parimenti la fine del colonialismo, affrettata dalle guerre mondiali, non può che condurre, secondo il ministro, all’unità dell’Europa, quanto meno per interesse.

«È bene sappiate perché il prestigio dei francesi, degli inglesi, degli italiani, degli olandesi è tanto scaduto in Asia e in Africa: la ragione è una sola: le due guerre mondiali del 14-18 e del 39-44. Prima del '14 … gli europei in una cosa almeno erano d’accordo: nel dominare i due continenti vicini colla superiorità delle organizzazioni e delle armi; fu nel 1914 che il loro prestigio cominciò a precipitare; ché il conflitto — malgrado i nobili colori con cui dai due lati lo si dipinse — apparve a tutti gli asiatici e africani nient’altro che una sordida e inspiegabile guerra civile; e, quando, a guerre finite, taluni dei bianchi tornarono nei loro possessi coloniali, gli indigeni non riuscirono a nascondere, … che oramai quegli Europei ch’essi avevano tanto temuto e ammirato non erano più per essi che dei poveri diavoli come loro, forse peggio. È per cotali e simili ordini di ragioni che dobbiamo dirci che se non vogliamo fare l’unità dell’Europa per amore, dovremo farla per interesse.[1]»

L’interesse per un’Unione europea, secondo l’oratore è vantaggioso soprattutto per l’Italia.

«Soprattutto noi italiani, appunto perché siamo un popolo conscio della propria forza vitale, appunto perché sappiamo che abbiamo tutto da guadagnare da un mondo ove la pace sia sicura e aperta, dobbiamo dichiarare e proclamare a ogni occasione che siamo pronti a qualsiasi limitazione della nostra sovranità; e ad un solo patto: quello che ho già detto: che gli altri Paesi facciano come noi.[1]»

Proseguendo:

«Bisogna che tutti sappiano che l’unico modo di salvarci da una terza guerra mondiale e l’unico modo di acquistarci il solo primato che alla lunga conta, quello delle idee, è di divenire araldi dell’unione di una Europa aperta a tutti, di un’Europa abbastanza generosa e chiaroveggente da persuadere ognuno dei piccoli Stati che la compongono — anche la Germania, anche la Francia son divenute piccole di fronte alla tecnica moderna — che ognuno, dico, di questi piccoli Stati d’Europa rinunzi ad una parte della propria sovranità, come un secolo e mezzo fa i nuovi Stati nord americani abdicarono a parte della loro sovranità, come due generazioni dopo — l’ho già detto — fecero i Cantoni svizzeri.[1]»

Carlo Sforza ed Alcide De Gasperi

Sforza dichiara di accogliere la soluzione federativa per il futuro dell’Europa, non mancando di far rilevare con orgoglio di italiano che tale soluzione sia stata proposta nel Manifesto di Ventotene dagli oppositori al fascismo ivi confinati.

«Bisogna creare; e la sola soluzione pratica che si presenta a noi è quella federativa, lieti come italiani ch’essa sia stata maturata anni or sono anche nello spirito di pionieri fratelli nostri, nelle solitudini del confino di Ventotene; il nome di uno di questi pionieri ci è sacro e va qui ricordato perché come i martiri antichi diede la sua vita per la sua fede: Eugenio Colorni, ucciso dai nazisti in Roma nel 1944.[1]»

Ribadisce inoltre i concetti già sostenuti in passato per quanto riguarda i motivi del fallimento del piano di Aristide Briand concernente gli Stati Uniti d'Europa.

«Oserei solo osservare che non bisogna mai cristallizzarsi in schemi troppo precisi perché la troppa nettezza delle formule finali nuoce quasi sempre alla germinazione dell’idea creatrice. La storia è come un fiume che si apre la via attraverso le pianure. Si è certi dove sboccherà, non per dove passerà. È per questo che il piano che sembrò un momento, anni fa, meglio avvicinarsi, come finalità, al nostro ideale, il piano degli Stati Uniti d’Europa che Aristide Briand aveva formulato, fallì miseramente nelle mecche di Ginevra. Fallì perché era troppo circostanziato e preciso — preciso come un francobollo.[1]»

Sforza ritiene indispensabile, per la pace europea, offrire alla Germania di sedersi su un piano di parità con gli altri paesi in un consesso federale europeo

«Un’alleanza militare occidentale potrà, se diventi veramente poderosa, attirare a sé il popolo tedesco. Ma sarà attraverso i suoi più malsicuri istinti, fra militareschi e romantici, che la Germania vi si sentirà attirata. … E siccome la guarigione democratica dei tedeschi che follemente si cercò ottenere dopo la guerra con didascaliche terapie straniere è una delle condizioni essenziali della soluzione del problema europeo, nostro supremo dovere è di riconciliarli con l’Europa. Ma come fare? Non v’è che un mezzo; offrire ai tedeschi di assidersi, uguali fra uguali e liberi fra liberi, al lavoro della grande federazione economica e politica dell’Europa occidentale.[1]»

Prosegue ancora ribadendo la dannosità delle barriere doganali tra gli Stati del continente e l'indispensabile necessità di eliminarle per la crescita del livello di vita degli europei.

«Ed è che solo con una società federale noi elimineremo dal Vecchio Continente quelle pazze barriere doganali che solo servono a mantener basso il livello di vita dei vari popoli, che solo servono, attraverso fittizi vantaggi, a far questi popoli odiatori o per lo meno gelosi gli uni degli altri come mai fu al tempo della Cristianità medioevale. Se i popoli dell’Europa attuale sopportano pazienti i folli legami delle dogane, dei passaporti, dei visti, che avvelenano le loro vite, è sol perché, come dovette accadere una volta per gli schiavi figli di schiavi, han finito per credere che si tratta di una legge fatale.[1]»

Conclude infine con una citazione ottimistica, ritenendo che l'integrazione europea sia scritta nel corso della storia.

«Lasciamo pure che quanti nascondono sotto la maschera dello scetticismo la loro naturale impotenza ghignino i loro dubbi. Anche Mazzini, anche Cavour, furono irrisi come utopisti. Siamo dunque in buona compagnia! Ricordiamoci piuttosto che la storia è un cimitero di popoli che non seppero guardare verso l’avvenire, che non percepirono il corso della storia. La nostra Italia deve vivere; per affermarsi nel mondo essa non ha oggi che un mezzo: farsi valere con delle idee. È proprio perché amiamo l’Italia con tutto il nostro cuore che noi auspichiamo di vederla presto al posto d’onore fra i popoli che avranno affrettato in Europa l’ora benedetta dell’oblio e della speranza![1]»

Reazioni e conseguenze

Sforza con Winston Churchill a Strasburgo nel 1950

Il discorso di Sforza a Perugia destò particolare impressione in molti ambienti ma in particolare in Francia. Sforza prese la palla al balzo e, il 24 ottobre 1948, inviò un memorandum al governo francese[10], nel quale confermò la propria opinione che soltanto gli ideali di organica intesa e di interdipendenza europea avrebbero potuto salvare la pace e la democrazia nel mondo; ribadì inoltre: a) la necessità di graduare il processo di unificazione europea, partendo da premesse economiche, per arrivare ad una collaborazione politica; b) auspicò la trasformazione dell'OECE in un organismo permanente dei 16 Stati europei aderenti; c) propose la creazione di una corte di giustizia europea.

Il 27 ottobre successivo, inviò un secondo memorandum a tutti i paesi dell'OECE[11], esprimendo gli stessi concetti. Le idee del ministro italiano e quelle espresse da altri uomini politici europei al Congresso europeo dell'Aja (7-11 maggio 1948) furono sintetizzate nel Piano Bevin, che il ministro britannico presentò alle cancellerie europee il 1º dicembre 1948.

Tale piano concepiva come catalizzatore di tutti i progetti di unione europea la creazione di un Consiglio d'Europa, con funzioni consultive, ma dotato di un segretariato generale. Era nato il primo organismo europeo con il compito di riunire almeno una volta all'anno i governi degli stati aderenti, per discutere in comune dei problemi politici europei. Il 5 maggio 1949, l'Italia fu accolta tra i 10 Stati fondatori del Consiglio d'Europa[12].

Ciò indusse il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman a rilanciare sul progetto di unione doganale italo-francese proposto da Sforza e, il 9 maggio 1950, rilasciando la Dichiarazione Schuman propose la creazione di una "comunità del carbone e dell'acciaio" con la quale Francia, Italia, paesi del Benelux e Repubblica Federale Tedesca avrebbero messo in comune la gestione di tali risorse strategiche.

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j Discorso riportato in: Carlo Sforza, Cinque anni a Palazzo Chigi, Atlante, 1952, pp. 483 e succ.ve.
  2. ^ Ennio Di Nolfo (a cura di), Carlo Sforza. Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 24
  3. ^ Livio Zeno, Ritratto di Carlo Sforza, Le Monnier, Firenze, p. 85.
  4. ^ Carlo Sforza (a cura di), Le più belle pagine di Giuseppe Mazzini, Milano, Treves, 1924 (p. III).
  5. ^ Carlo Sforza, Costruttori e Distruttori, Donatello De Luigi, Roma, 1945, p. 234
  6. ^ Antonio Varsori, Gli alleati e l'emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Firenze, Sansoni, 1982, p. 159 e ss.
  7. ^ Antonio Varsori, cit., p. 175 e ss.
  8. ^ Carlo Sforza, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Mondadori, Roma, 1945, pp. 175 e ss.
  9. ^ Carlo Sforza, Cinque anni, cit., pp. 50 e succ.ve.
  10. ^ Carlo Sforza, Cinque anni, cit., pp. 69-73.
  11. ^ Carlo Sforza, Cinque anni, cit., pp. 73-80.
  12. ^ Atti parlamentari, Senato della Repubblica, seduta pomeridiana del 23 luglio 1949, Sul disegno di legge "Ratifica ed esecuzione dello Statuto del Consiglio d'Europa e dell'Accordo relativo alla creazione della Commissione preparatoria del Consiglio d'Europa, firmati a Londra il 5 maggio 1949

Bibliografia

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  • Federico Bardanzellu, L'ideale europeo nell'attività politica di Carlo Sforza, Roma, Pioda, 1989.
  • Alberto Cappa, Le circostanze della situazione europea ed italiana e l'azione del conte Sforza, in: Carlo Sforza, Pensiero e azione di una politica estera italiana, Bari, Laterza, 1924.
  • Ennio Di Nolfo (a cura di), Carlo Sforza. Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, 2006.
  • Giorgio Fabre, Atlantici, ma non troppo, in: Panorama, 26 giugno 1997.
  • Giancarlo Giordano, Carlo Sforza: la diplomazia (1896-1921), Milano, Franco Angeli, 1987.
  • Giancarlo Giordano, Carlo Sforza: la politica (1922-1952), Milano, Franco Angeli, 1992.
  • Rinaldo Merlone, L'unificazione europea nel pensiero e nell'azione di Carlo Sforza, Bologna, Il Mulino, 2009.
  • Egidio Reale, La pensee et l'action de Carlo Sforza, Neuchatel, Ides et Calendes, 1944.
  • Antonio Varsori, De Gasperi, Nenni, Sforza and the Role in Post-War Italian Foreign Policy, in Power in Europe? Great Britain, France, Italy and Germany in a Postwar World, 1945-1950, a cura di J. Becker, F. Knipping, Berlin-New York, 1986
  • B. Vigezzi, De Gasperi, Sforza, la diplomazia italiana e la percezione della politica di potenza dal trattato di pace al Piano Marshall (1947-1950), in Storia contemporanea, IV, 1985, Bologna, Il Mulino,
  • Livio Zeno, Carlo Sforza: ritratto di un grande diplomatico, Firenze, Le Monnier, 1999.
  • Livio Zeno, Ritratto di Carlo Sforza, col carteggio Croce-Sforza e altri documenti inediti, Firenze, Le Monnier, 1975.

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