I codici di Leonardo da Vinci sono raccolte di annotazioni, appunti e disegni realizzati da Leonardo da Vinci nel corso della propria vita su argomenti diversi.
Storia
Nel 1517 risultava esistere un'«infinità di volumi» presso Leonardo ad Amboise.
«Questo gentilhomo ha composto de notomia tanto particularmente con la demonstratione de la pictura si de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d'intestini tanto di corpi de homini come de done, de modo non è stato mai facto anchora da altra persona. Il che habbiamo visto oculatamente et già lui ne dixe haver facta notomia de più de xxx corpi tra masculi et femine de ogni età. Ha anche composto la natura de l'acque, de diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua vulgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto delectevoli»
Nel 1519, alla morte di Leonardo, ci fu una prima dispersione dei manoscritti.
Volumi perduti
Si sono perse le tracce di almeno tre volumi, citati nel XVI secolo.
Un manoscritto nel 1566 era nella biblioteca lasciata da Adolfo II Piccolomini, duca di Amalfi.[2]
Nel 1568 Giorgio Vasari indicava che «sono nelle mani di ... (sic) il pittore milanese alcuni scritti di Leonardo, pur di caratteri scritti con la mancina a rovescio, che trattano della pittura e de' modi del disegno e colorire. Costui non è molto, che venne a Fiorenza a vedermi, desiderando stampar questa opera, e la condusse a Roma per dargli esito, né so poi che di ciò sia seguito»;[3] questo pittore milanese era forse Giovanni Paolo Lomazzo oppure Aurelio Luini.[4]
Altro testo venne citato nel Trattato del 1584 dal Lomazzo come «un suo libro letto da me questi anni passati che egli scrisse di mano stanca à prieghi di Lodovico Sforza, duca di Milano, in determinatione di questa questione se è più nobile la pittura o la scoltura».[5]
Le vicende successive del codice non sono note, dato che ricomparve solo attorno al 1690 in un cofano lasciato dal Della Porta e acquistato da Giuseppe Ghezzi.
«Io credo che non solo copiasse dalle pitture di Leonardo, ma da disegni de questi [et] è da credere che Gio. Giacomo suo zio in tempo del suo maestro il Gobbo, contemporaneo di Leonardo, n'abbondasse, perché in un Coffino rimasto nell'eredità de' descendenti di fra Guglielmo si sono trovati quest'anno 1689 con dissegni et 8 libri di Guglielmo un libro manuscritto de' moti del sole o del moto dell'aque di mano di Leonardo che li tiene in gran stima, come porta il dovere, il Sr. Gioseppe Ghezzi.»
«Questo libro, manuscritto all'indietro, alla mancina, al solito di Leonardo, l'ha di presente quest'anno 1690 il signor Giuseppe Ghezzi ritrovato in un coffano di manuscritti e disegni di Guglielmo Della Porta, scultore del sepolcro di Paolo III, quale da giovane si sa che fu scolaro di Gio. Tomaso Della Porta, suo zio, che l'allevò a copiare diversi studi di Leonardo da Vinci, de quali bisogna che ne havesse molti dandoli da studiar al nipote; e non è meraviglia, perché Gio. Tomaso era stato scolaro dello scultore detto il Gobbo di Milano contemporaneo di Leonardo.»
Attorno al 1717 il codice fu acquistato da Thomas Coke, conte di Leicester e rimase di proprietà degli eredi fino al 1980, quando fu messo all'asta. Fu acquistato da Armand Hammer il 12 dicembre 1980 per 5,6 milioni di dollari. Nel 1990, alla sua morte, lasciò il codice all'Armand Hammer Museum of Art and Cultural Center dell'Università della California.
Pochi anni dopo fu messo di nuovo in vendita e l'11 novembre 1994 il manoscritto fu acquistato da Bill Gates per 30.802.500 dollari.[11]
L'eredità di Francesco Melzi
Un numero di codici imprecisato venne ereditato da Francesco Melzi per volere di Leonardo da Vinci. Fu egli probabilmente a realizzare il Trattato della pittura, che al termine riporta un elenco di 18 manoscritti di Leonardo sull'argomento.
Nel 1523 il Melzi tornò a Milano portando con sé le carte di Leonardo.
«Fu creato de Leonardo da Vinci et herede, et ha molti de suoi secreti, et tutte le sue opinioni, et dipinge molto ben per quanto intendo, et nel suo ragionare mostra d’haver iuditio et è gentilissimo giovane. [...] Credo ch'egli habbia quelli libricini de Leonardo de la Notomia, et de molte altre belle cose.»
(da una lettera da Milano ad Alfonso I d'Este, duca di Ferrara, 6 marzo 1523[12])
Alla morte di Francesco Melzi, i manoscritti conservati nella villa di Vaprio d'Adda furono affidati al figlio Orazio e successivamente presero strade diverse a causa di sottrazioni e cessioni. Dei 18 manoscritti indicati nel Trattato della pittura solo sei sono oggi noti.
Il "restauro" di Pompeo Leoni
Grazie a una breve cronaca lasciata da Giovanni Ambrogio Mazenta, è possibile ricostruire, anche se in modo vago, le vicende di parte dei testi. La famiglia Melzi aveva come insegnante Lelio Gavardi d'Asola, che attorno al 1587 sottrasse 13 libri di Leonardo per portarli a Firenze al granduca Francesco.[13] Essendo però morto il granduca, il Gavardì si trasferì a Pisa insieme ad Aldo Manuzio il Giovane, suo parente; qui incontrò il Mazenta, al quale lasciò i libri affinché li restituisse alla famiglia Melzi. Il Mazenta li riportò a Orazio Melzi, che però non si interessò del furto e gli donò i libri; il Mazenta li consegno al fratello.[14]
Lo scultore Pompeo Leoni, informato della presenza di manoscritti di Leonardo, li chiese a Orazio Melzi per il re Filippo II;[15] ottenne la restituzione anche di sette volumi dai Mazenta, ai quali ne rimasero sei. Di questi sei, tre furono da loro donati rispettivamente all'arcivescovo Federico Borromeo (oggi Manoscritto C di Francia), al pittore Ambrogio Figino e a Carlo Emanuele I di Savoia, mentre gli altri tre in seguito furono ottenuti da Pompeo Leoni, che entrò così in possesso di un numero imprecisato di manoscritti e carte.[16]
Il Leoni negli anni successivi organizzò i codici in suo possesso, riportando una sigla su ognuno di essi; sulla base di queste segnature, si è calcolato che fosse in possesso di almeno 46 manoscritti diversi.[17] Nel 1589, impegnato in lavori al monastero dell'Escorial, si trasferì in Spagna;[18] qui utilizzò il materiale di Leonardo in suo possesso (probabilmente smembrando anche codici già rilegati) per formare nuove raccolte[16] come il Codice Atlantico e la Raccolta Windsor. Diversi manoscritti furono poi riportati in Italia, forse da Leoni nel 1604.[19]
Il Leoni morì nel 1608 e furono suoi eredi i due figli maschi, Michelangelo e Giovanni Battista, morti pochi anni dopo.[20] Una lettera del 1613 riporta una lista di beni leonardeschi che Giovanni Battista cercò di vendere a Cosimo II de' Medici, comprendente il Codice Atlantico, quindici manoscritti minori e alcuni disegni; all'epoca Pompeo Leoni era indicato anche come «Aretino».
«Un libro di 400 fogli in circa, e li fogli sono alti più d'un braccio e in ogni foglio sono diversi fogli incollati di macchine d'arte segrete, e d'altre cose di Leonardo detto, cosa che veramente stimo degna di S.A. e la più curiosa che fra le altre vi sia, dice l'Aretino averne trovato mezzo ducato della carta, però cento scudi ci sarebbon ben spesi, se per tal prezzo si potesse havere. Quindici altri libretti d'osservationi, e fatiche in diverse materie del med.mo e particolarm.e d'Anotomia cosa buona, e curiosa. L'altre cose non mi paiono da comparire tra l'altre di S.A., però sopra esse non si discorre.»
(Estratto dalla lettera da Alessandro Beccari a Andrea Cioli, 18 settembre 1613[21])
Non si raggiunse un accordo per la vendita. Nel luglio 1615 la possibilità di acquistare il Codice Atlantico suscitò l'interesse del cardinale Federico Borromeo.
«Il Como è venuto da me con certa occasione et mi ha detto che vi è da vendere un libro, che già fu dell'Aretino, pieno di disegni. Questo libro era tenuto in tanto prezzo dal morto Aretino, che mai si vergognava di domandarne mille scudi; et però, quando me ne fu parlato, io me ne risi. Adesso è stato stimato quaranta scudi, et si puó pigliare, perché è una gioia.»
(Estratto da una lettera di Federico Borromeo, 25 luglio 1615[22])
Però dal maggio 1615, con la morte di Giovanni Battista, era iniziata una disputa per l'eredità di Pompeo Leoni tra altri due figli: un figlio illegittimo che aveva l'identico nome del padre e la figlia Vittoria, moglie di Polidoro Calchi. Solo dopo un accordo concluso nel 1621 Vittoria e il marito poterono iniziare la vendita dei manoscritti.[23]
Pompeo (1531-1608) sp. nel 1596 Stefanilla di Perez de Mora (1544 ca-1604)
Vittoria (1571-?) sp. nel 1588 Polidoro Calchi († 1632)
Michelangelo (1573-1611)
Giovanni Battista (1575-1615)
Pompeo (?-?) illegittimo
Galeazzo Arconati e la Biblioteca Ambrosiana
Tra il 1622 e il 1630 il Calchi vendette al conte Galeazzo Arconati vari manoscritti, compreso il Codice Atlantico.[16] Non è nota la data esatta della cessione, ma esiste una ricevuta del 28 agosto 1622 rilasciata da Francesco Maria Calchi, figlio di Polidoro, che indicava una somma di 445 ducatoni dovuta dall'Arconati.[24]
Galeazzo Arconati era legato a Federico Borromeo, suo parente per parte di madre e suo tutore in gioventù.[25]
Anna Visconti (1557-1617) sp. Giovanni Antonio Arconati
Federico Borromeo (1564-1631)
Galeazzo Arconati
Forse proprio per questo legame, con atto del 21 gennaio 1637 egli donò dodici manoscritti alla Biblioteca Ambrosiana (Codice Atlantico, dieci codici e copia del De Divina Proportione), fondata dal Borromeo nel 1609.[26]
A ringraziamento del donatore venne posta una lapide nella Biblioteca sormontata da un tondo con un busto in rilievo.
(LA)
«LEONARDI VINCII MANV ET INGENIO CELEBERRIMI LVCVBRATIONVM VOLVMINA XII HABES O CIVIS GALEAZ ARCONATVS INTER OPTIMATES TVOS BONARVM ARTIVM CVLTOR OPTIMVS REPVDIATIS REGIO ANIMO QVOS ANGLIÆ REX PRO VNO OFFEREBAT AVREIS TER MILLE HISPANICIS NE TIBI TANTI VIRI DEESSET ORNAMENTVM BIBLIOTECHÆ AMBROSIANÆ CONSECRAVIT NE TANTI LARGITORIS DEESSET MEMORIA QVEM SANGVIS QVEM MORES MAGNO FEDERICO FVNDATORI ADSTRINGVNT BIBLIOTECHÆ CONSERVATORES POSVERE ANNO M D C XXXVII»
(IT)
«Hai, o cittadino, dodici volumi di ragionamenti di mano e di ingegnio del celeberrimo LEONARDO DA VINCI. GALEAZZO ARCONATI, membro della tua aristocrazia, eccellente cultore delle belle arti, rifiutando con animo regale tremila monete d'oro di Spagna offerte dal re d'Inghilterra per uno solo di essi, per non privarti del tesoro di tale uomo lo consacrò alla Biblioteca Ambrosiana. Per non estinguere la memoria di tale mecenate, che il sangue e i costumi legano al grande fondatore FEDERICO, i conservatori della Biblioteca posero nell'anno 1637»
(Iscrizione della lapide)
Il riferimento nella lapide a un'offerta del re d'Inghilterra (per il Codice Atlantico) rifiutata dall'Arconati è supportato da una dichiarazione giurata, inserita nell'atto di donazione, che indica re Giacomo I (1566-1625), ma con la data impossibile dell'anno 1630;[27] per questo motivo diverse fonti considerano come offerente il successore Carlo I, in carica dal 1625. Altra ipotesi è che il tentativo di acquisto del volume fosse un'iniziativa di lord Arundel con l'intenzione di donarlo al re;[28] lord Arundel acquistò un altro codice di Leonardo probabilmente nello stesso periodo.[29]
Galeazzo Arconati in un momento successivo sostituì uno dei manoscritti donati con un altro manoscritto di origine incerta. Il manoscritto che non donò alla Biblioteca (oggi Codice Trivulziano 2162) giunse in seguito a Gaetano Caccia († 1752) che lo vendette a Carlo Trivulzio (1715-1789); nel 1935 fu acquisito dal Comune di Milano.
Nel 1674 un altro codice fu donato alla Biblioteca da Orazio Archinto, portando a 13 il totale di codici posseduti.[30]
Spoliazioni napoleoniche
Nel 1796 Napoleone Bonaparte ordinò lo spoglio di tutti gli oggetti artistici o scientifici che potevano arricchire musei e biblioteche di Parigi. Il 24 maggio il commissario di guerra Peignon si presentò all'Ambrosiana insieme all'incaricato Pierre-Jacques Tinet (1753-1803) con l'elenco degli oggetti di cui doveva impossessarsi, fra cui «le carton des ouvrages de Leonardo d'Avinci (sic)». Le casse contenenti gli oggetti d'arte tolti a Milano vennero spedite a Parigi il 29 maggio, ma giunsero solo il 25 novembre. Il 14 agosto venne stabilito di portare la cassa n. 19, contenente il Codice Atlantico, alla Biblioteca nazionale di Francia; all'Institut de France era destinata invece altra cassa contenente gli altri dodici manoscritti.[31]
Quando le truppe alleate occuparono Parigi nel 1815, ognuna delle potenze interessate affidò ad un proprio Commissario l'incarico di ricuperare gli oggetti d'arte di cui era stata spogliata; Franz Xaver barone von Ottenfels-Gschwind, incaricato dall'Austria di riprendere gli oggetti d'arte tolti alla Lombardia, essendo questa ritornata sotto il dominio austriaco, non ottenne tutti i codici vinciani sottratti dalla Biblioteca Ambrosiana, benché ne avesse una nota esatta. Quando si presentò alla Bibliothèque nationale, vi trovò solo il Codice Atlantico; invece di cercare di rintracciare e riavere gli altri manoscritti, si accontentò di tre altri volumi (vecchie copie di codici vinciani che considerò originali) e il 5 ottobre 1815 rilasciò la ricevuta «a eccezione di nove volumi manoscritti di mano di Leonardo da Vinci, che secondo la dichiarazione dei signori conservatori non sarebbero mai arrivati alla Biblioteca del Re» («à l'exception de neuf volumes mss. de main de Leonardo da Vinci, lesquels d'après la déclaration de messieurs les conservateurs, ne seraient point arrivés à la Bibliothèque du Roi»).[32]
Attorno al 1840 il matematico e bibliofilo Guglielmo Libri sottrasse diverso materiale da biblioteche a Firenze e a Parigi; dall'Institut de France sottrasse diverse parti dai manoscritti provenienti dalla Biblioteca Ambrosiana.
Riunì vari fogli in due volumi, venduti poi al conte Bertrand Ashburnham (1797-1878). Parte delle sottrazioni fu rivenduta all'Institut de France dal successivo conte di Ashburnham (1840-1913), ma alcune parti risultarono mancanti.
Tra i vari manoscritti citati di cui non si hanno oggi notizie, c'è quello che il 30 marzo 1866 sarebbe stato ritrovato dal dott. Giuseppe Ortori nella Biblioteca Ambrosiana «riguardante i fenomeni della luce rispetto alla pittura»; il manoscritto, formato di 112 fogli e in pergamena (forse riferimento alla sola rilegatura).[33] La notizia fu ripresa da varie pubblicazioni europee.
(NL)
«Men schrijft dat Dr. Giuseppe Ortori in de Ambrosiaansche bibliotheek te Milaan een zeer belangrijk werk van Leonardo da Vinci heeft ontdekt. Het is een handschrift van 112 bladzijden, op perkament in folio, eene wetenschappelijke verhandeling bevattende over de verschillende verschijnselen van het licht, die voornamelijk voor schilders belangrijk zijn. Het werk zal door tusschenkomst van lady Evelina Brighton en op hare kosten worden gedrukt. Ofschoon de wetenschap sinds Leonardo da Vinci groote vorderingen heeft gemaakt, twijfelen de italiaansche geleerden niet of zijn werk zal met groote belangstelling ontvangen worden.»
(IT)
«Scrivono che il dott. Giuseppe Ortori scoprì un'importantissima opera di Leonardo da Vinci nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Si tratta di un manoscritto di 112 pagine, su pergamena in folio, contenente un trattato scientifico sui vari fenomeni di luce, che sono particolarmente importanti per i pittori. L'opera sarà stampata da Lady Evelina Brighton e a sue spese. Sebbene la scienza abbia fatto grandi progressi da Leonardo da Vinci, gli scienziati italiani non dubitano che il suo lavoro sarà accolto con grande interesse.»
Elenco dei codici esistenti, con le caratteristiche principali. Le date riportate sono puramente indicative; per alcuni manoscritti si hanno interpretazioni diverse da parte degli studiosi.
I codici riportano indicazioni di catalogazione, inserite in epoche diverse dai possessori.
Alcuni codici o parti di codici riportano una numerazione progressiva e una segnatura alfanumerica (una o più lettere e un numero, riconducibile al numero di fogli del codice). Dal loro studio si è ipotizzato di poter ricostruire la catalogazione di Pompeo Leoni.[17] Il valore più alto della numerazione è 46, che corrisponderebbe al numero minimo di manoscritti da lui posseduto.
Codice
Formato
Numerazione
Segnatura
Note
Nome
Parte
Lettere
Fogli
Madrid I
In quarto
5
A
190
Numerazione e segnatura c. 191v.
Francia B
In quarto
Be
100
Segnatura (parzialmente cancellata) c. 100v.
Madrid II
1
In quarto
6
C
140
Numerazione c. 1r; segnatura c. 140v.
Francia A
In quarto
3
Da
114
Numerazione c. 1r; segnatura c. 114v.
Trivulziano 2162
In quarto
10
Ge
55
Numerazione c. 1r; segnatura c. 51v.
Volo degli uccelli
In quarto
9
K
18
Numerazione e segnatura c. 18v.
Madrid II
2
In quarto
4
Le
17
Numerazione c. 141r; segnatura c. 157v.
Forster I
1
In ottavo
16
Oe
38
Numerazione c. 3r; segnatura c. 40v.
Francia I
2
In sedicesimo
21
T
91
Numerazione e segnatura c. 139v.
Francia H
1
In sedicesimo
33
Xe
64
Numerazione e segnatura c. 1r.
Francia H
2
In sedicesimo
34
Ye
46
Numerazione c. 64v; segnatura c. 94v.
Forster II
2
In sedicesimo
36
We
93
Numerazione c. 159r; segnatura c. 158v.
Forster I
2
In ottavo
46
BB
14
Numerazione c. 41r; segnatura c. 54v.
Francia I
1
In sedicesimo
20
II
48
Numerazione e segnatura c. 48v.
Forster II
1
In sedicesimo
25
KK
62
Numerazione e segnatura c. 1r; altra segnatura «II 48» c. 63v.
^ M. Cadario, "...Ad arricchire la Lombardia con uno de' più preziosi avanzi dell'antichità": il Tiberio colossale del Castellazzo degli Arconati, in Archivio Storico Lombardo, 2007, p. 12.