Nella Scala dei tempi geologici, il Carbonifero è il quinto dei sei periodi in cui è suddiviso il Paleozoico, che a sua volta è la prima delle tre ere in cui è suddiviso l'eone Fanerozoico.
Il Carbonifero è compreso tra 359,2 ± 2,5 e 299,0 ± 0,8 milioni di anni fa (Ma),[1] preceduto dal Devoniano e seguito dal Permiano.
Nel Carbonifero inferiore, durante la fase sudetica, che provocò le grandi linee tettoniche ancor oggi evidenti nella Bretagna e nell'Inghilterra meridionale, di riflesso si ebbero ulteriori intrusioni granitiche, come testimoniano i cinque batoliti della Cornovaglia. Nel Namuriano ha inizio lo smantellamento della catena, indicato dalla formazione di molasse, ma la regione subì ancora degli intensi piegamenti durante la fase principale dell'orogenesi ercinica, quella asturiana, nel Westfaliano superiore. Su una catena giovane e già attaccata dall'erosione si sono deposti i sedimenti del cosiddetto Carbonifero produttivo, rappresentato da scisti, arenarie, conglomerati, alternati con strati di carbone. La localizzazione e la forma dei bacini carboniferi sono dovute a cause tettoniche, che hanno portato alla formazione di sinclinali interessate da pieghe-faglie, consentendo con il lento e costante abbassamento l'accumulo enorme dei sedimenti carboniferi. La regione ormai irrigidita non reagisce più plasticamente e le ultime fasi tettoniche, meno violente, alla fine del Carbonifero e durante il Permiano, hanno portato a una struttura a fratture e a faglie con formazione di fosse e a emissioni laviche.
Al termine del Carbonifero le catene erciniche sono ormai completamente emerse e lo smantellamento delle stesse porta nel periodo successivo alla formazione delle Arenarie Rosse Recenti; nel Permico si verificano solo fasi di assestamento, ma intensa è l'attività magmatica. Già durante l'evoluzione dell'orogenesi ercinica questa era stata significativa, in particolare con l'intrusione di imponenti masse granitiche, come nei monti Metalliferi (Erzgebirge), nei Vosgi, nella Foresta Nera e nella Boemiacentrale, e la messa in posto dei massicci elvetici delle Alpi.
Le masse irrigidite dello zoccolo hanno reagito alle sollecitazioni tettoniche posterciniche fratturandosi o fagliandosi, dando così origine a fosse tettoniche e a blocchi rialzati caratteristici dello stile tettonico sassone o germanico.
Etimologia
Il nome del Carbonifero deriva dal fatto che nei terreni formatisi in questo periodo sono molto diffusi i giacimenti di carboni fossili, in conseguenza del grande sviluppo delle foreste avvenuto in questo periodo.
La denominazione e l'unità cronostratigrafica furono introdotti nel 1822 dai geologi inglesi William Daniel Conybeare e William Phillips, che tuttavia inizialmente la considerarono a livello di epoca o serie, con il nome di Carboniferous Series.
La Commissione Internazionale di Stratigrafia[1] riconosce per il Carbonifero, due sottoperiodi (Pennsylvaniano e Mississippiano, entrambi di origine americana), che danno luogo a sei epoche e sette piani, ordinati dal più recente al più antico secondo il seguente schema, che riporta a fianco anche la precedente convenzione europea, che utilizzava una suddivisione di tipo diverso:
La base del Carbonifero, coincide con quella del Mississippiano e del suo primo piano, il Tournaisiano, ed è definita dalla prima comparsa negli orizzonti stratigrafici dei conodonti della specie Siphonodella sulcata, all'interno della linea di evoluzione filogenetica da Siphonodella praesulcata a Siphonodella sulcata.[2]
Come indicatori fossili secondari presenti nello strato 89, sono da annoverare i trilobitiBelgibole abruptirhachis, Archegonus (Phillibole) e Carbonocoryphe. I Belgibole abruptirhachis fanno la loro comparsa in varie sezioni stratigrafiche che contengono cefalopodi in Germania, Polonia (Monti della Santa Croce) e nella Alpi Carniche austriache.
Tra i vertebrati, grande espansione hanno i primitivi pesci ossei (tra cui i paleonisciformi) e i pesci cartilaginei, che si diversificano dando vita a strane forme oggi scomparse, come gli Eugeneodontida, i Chondrenchelyida e i Symmoriida, e agli antenati degli squali odierni. Fossili eccezionali di queste forme sono quelle rinvenute nel deposito di Bear Gulch, in Montana. I placodermi, così come la maggior parte degli agnati, erano già scomparsi nel Devoniano. I tetrapodi conoscono una notevole espansione, anche se nella documentazione fossile sono assenti per circa 20 milioni di anni (il cosiddetto “Romer's gap”). Accanto a forme di incerta collocazione (Crassigyrinus, Loxommatidae) nel Carbonifero inferiore si possono già riconoscere i primi rappresentanti dei temnospondili, che divennero particolarmente floridi verso la fine del periodo e nel Permiano. I lepospondili, dal canto loro, sviluppano subito forme molto specializzate (Aïstopoda). I rettiliomorfi si evolvono fino a produrre forme semiacquatiche (Embolomeri) e terrestri; queste ultime diedero origine ai primi veri rettili. Nel giacimento di Joggins in Nuova Scozia sono stati rinvenuti numerosi resti di amnioti primitivi (Palaeothyris e Hylonomus) conservati all'interno di tronchi d'albero cavi. Contemporaneamente a questi animali si svilupparono anche i primi sinapsidi (Archaeothyris).
La flora del carbonifero, inizialmente simile a quella dell'Ordoviciano superiore, sviluppò rapidamente nuove specie e divenne estremamente ricca e vigorosa. Viene suddivisa in due gruppi:
^abc Commissione internazionale di stratigrafia, International Chronostratigraphic Chart, su stratigraphy.org, Unione internazionale di scienze geologiche. URL consultato l'8 marzo 2024.
^Paproth, E., Feist, R., and Flaijs, G., 1991. Decision on the Devonian-Carboniferous boundary stratotype. Episodes 14/4, p. 331 - 336
^Kaiser, S. I., Steuber, T., Becker, R. T., and Rasser, M. W., 2006. The Devonian/Carboniferous boundary stratotype section (La Serre E', Montagne Noire) revisited. Kö lner Forum Geol. Paläont., 15, p. 52.
^Kaiser, S. I., 2009. The Devonian/Carboniferous boundary stratotype section (La Serre, France) revisited. Newsletters on Stratigraphy, 43/2, p. 195 - 205.
Bibliografia
Gradstein, F.M.; Ogg, J.G.; Smith, A.G.. A Geologic Time Scale, Cambridge University Press, 2004.