Il califfato è una forma di governomonarchico (inizialmente elettivo, poi assoluto), la cui identità politica e sociale si basa sul perseguimento e sulla predicazione delle convinzioni e delle attività politiche e religiose del profeta islamicoMaometto e sull'Identificazione del monarca (il cosiddetto Califfo) come suo erede e successore.
Etimologia
Il termine (in araboخلافة?, khilāfa) significa "successione", "luogotenenza", e si riferisce al sistema di governo adottato dal primissimo Islam, il giorno stesso della morte di Maometto, e intende rappresentare l'unità politica e spirituale dei musulmani, ovvero la umma.
Un sinonimo di califfo - in uso fin dal governo di ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb - è l'espressione "Comandante di credenti" (Amīr al-muʾminīn), successore politico (ma in qualche modo anche spirituale, anche se non religioso) di Maometto nella sua funzione di capo della umma.
La sua istituzione non è prevista dal Corano e neppure dalla Sunna di Maometto e lo stesso termine "costituzione", o "rescritto", o "accordo" (in araboصحيفة?, ṣaḥīfa, lett. "Foglio") di Medina dell'anno 1 dell'Egira, è una traduzione abbastanza impropria per indicare quello che era un semplice accordo firmato tra le varie componenti della città di Yathrib (odierna Medina) per regolamentare la convivenza fra musulmani, ebrei e persino pagani.[1]
Il califfato abbaside si concluse ufficialmente nel 1258, anno in cui la capitale Baghdad fu conquistata e devastata dai Mongoli di Hulagu Khan, che, uccidendo l'ultimo abbaside, al-Mustaʿṣim, estinse per sempre il califfato. In realtà un ramo secondario abbaside, sopravvisse, e, dopo una breve presenza ad Aleppo, trovò rifugio al Cairo, sotto la dorata tutela dei Mamelucchi.
Seppure non riconosciuto dalle entità politiche e istituzionali, può essere anche ricordato anche il califfato almohade, i cui Sultani impiegavano per sé stessi la dizione di Amīr al-muʾminīn, Comandante dei credenti, un perfetto sinonimo di "Califfo".
Il Califfato ottomano (1517-1924)
La conquista del Sultanatomamelucco da parte del Sultano ottomanoSelim I nel 1517 pose fine a quella fase in cui gli ultimi discendenti degli Abbasidi svolgevano una funzione di pura e semplice rappresentanza formale. Selim ricevette l'investitura da parte dell'ultimo Abbaside, Al-Mutawakkil III, con una solenne cerimonia al Cairo. I vincitori trasferirono tutti gli emblemi del potere califfale abbaside, mantello e spada di Maometto e altri oggetti ancora, ad Istanbul, nella residenza sultanale del Topkapı, il cui titolare agì come califfo dei musulmani sunniti, senza incontrare alcuna contestazione tra i suoi correligionari.
A livello internazionale il titolo di califfo venne ufficialmente utilizzato, e di fatto accettato, anche dalle cancellerie europee, solo a partire dalla firma del Trattato di Küçük Kaynarca del 1774.
Fin dal 1919 esisteva comunque un movimento attivo in difesa dell'Impero ottomano e noto appunto col nome di "Movimento Khilafat" (Movimento per il Califfato), nato tra i Musulmani indiani ed appoggiato anche dallo stesso Gandhi, che riconosceva in una istituzione pan-islamica come l'Impero ottomano, l'unico modo per tener testa all'egemonia britannica[2]. Tale movimento fu invece osteggiato dagli Arabi che lo ritennero uno strumento per il mantenimento della supremazia turca. Da parte araba quindi il titolo califfale fu rivendicato da re al-Ḥusayn b. ʿAlī dell'Ḥijāz, leader della Rivolta araba, ma il suo regno venne sconfitto ed annesso nel 1925 all'Arabia Saudita da ʿAbd al-ʿAzīz . Il titolo è da allora vacante.
Abolizione del califfato (1924)
Il califfato ottomano fu abolito nel 1924 da Mustafa Kemal Atatürk e i suoi poteri furono trasferiti alla Grande Assemblea Nazionale della Turchia, il parlamento della neonata Repubblica Turca.
(EN) Sir T.W. Arnold, The Caliphate, London, Routledge, 1965 [1924].
C. A. Nallino, Appunti sulla natura del «Califfato» in genere e sul presunto «Califfato ottomano», in Scritti editi e inediti, a cura di M. Nallino, vol. III (di 6), Roma, Istituto per l'Oriente Carlo Alfonso Nallino, pp. 234-569.